Alici, dal mare all’essenza cilentana 

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Sfatare i vecchi e consolidati miti cilentani, riportandone in tavola la tradizione non in maniera ripetitiva ed a tratti stantia, ma portando in tavola il paradigma della storica cucina di questa terra, cercandone di cogliere l’essenza, innovandola ma, nel complesso, senza snaturarla.

La trattoria Alici di Paestum, che avevamo conosciuto per il suo imprinting tipicamente marinaro, ha saputo essere dirompente anche stavolta. Infatti, alla carta tradizionale è stato affiancato un nuovo menù di stampo vegetariano, o meglio, autenticamente cilentano.

A colpire subito c’è l’impiattamento, realizzato con servizi di modernariato della Ginori, a riprodurre, nell’atmosfera minimal del locale, la mise en place delle case cilentane di una volta nella grandi occasioni.

L’esperienza colpisce per la sua essenzialità, ma senza abdicare ai canoni del buon gusto, attraverso l’impiego di materie prime praticamente in via esclusiva figlie del territorio che va da Paestum a Sapri, a partire dai panificati che danno il benvenuto facendo subito entrare nel mood del percorso.

Si parte con del pane ai grani antichi del Molino a pietra Terre di Resilienza di Caselle in Pittari, da lievito madre e cotto in forno a legna, abbinato con olio evo dell’azienda Paragano di Perdifumo. Si entra poi, nel vivo della degustazione con una carota e cardamomo cotta in soluzione acetica, per stimolare la salivazione, cotta nel suo gel che ne potenzia la sapidità, e sovrastata dalla sua chip, che ne concentra l’essenza.

Si prosegue, poi, con del sedano rapa cotto al forno, insaporito con erbe mediterranee: lavorato sia da parte del gambo che da quella delle foglie, da cui è stata estratta la clorofilla che ne conferisce un aspetto lucido. Vero fiore all’occhiello del menù, nonché piatto certamente più rappresentativo della voglia di essenzialità che questa carta prova a trasmettere, sono, però, i “bottoni” realizzati con farina di grani antichi Terra di Resilienza: imbottiti di pane cotto e caprino Slow Food Le Starze, abilmente aromatizzati con lo zafferano Montano Antilia.

Centrato e con la consistenza del piatto principale anche  il cavolfiore affumicato con la sua salsa, e pistacchio di Bronte; non prima di aver sperimentato una versione, peraltro ottimamente riuscita, integralista e davvero inedita della portata più popolare della terra cara ad Ancel Keys: le lagane di ceci con peperone crusco. Davvero ricca di sapidità anche la scarola con capperi, olive e patate: sbollentata, condita e ripassata in padella a conferire una sapidità dal gusto casereccio. Liddove un tempo, poi, non c’era la carne in tavola – era una portata da occasioni terribili – ecco che nelle case cilentane protagonisti divenivano i legumi. È quindi la volta dell’estratto di nocciola di Giffoni e lenticchie, un ottimo e decisamente più salutare “surrogato” del quale poi si è scoperto un valore nutrizionale assolutamente non minore.

Gran chiusura con un dolce che più casalingo e contadino non può definirsi: ecco il pane bagnato al cacao con crema al cioccolato, a evocare la gianduia, antenata della nutella, quasi sempre presente nelle case degli anni ’50 liddove gli stipendi ancor più magri di quelli odierni lo consentissero. Ma un buon upgrade lo offre la triade di mignon cilentani: cannolo, scauratiello e cantuccio. Una vera chicca.

Per i vini in abbinamento c’è davvero l’imbarazzo della scelta: un Madre Goccia, Igt Calabria, da uve Greco e Chardonnay 2021 delle Tenute Iuzzolini può essere la scelta giusta.

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