Care donne, controllatevi! La salute è un dono inestimabile

di Grazia Biondi

grazia biondiOttobre è il mese della prevenzione del cancro al seno. Il controllo periodico è la migliore arma per vincere il cancro alla mammella che, ogni anno, colpisce una donna su otto ed è tra le prime cause di morte per tumore tra le persone di sesso femminile. Nonostante i numeri siano allarmanti, una buona notizia c’è: grazie ai progressi continui in ambito medico e agli screening per la diagnosi precoce, al giorno d’oggi, si muore meno che in passato di tumore del seno.

Il cancro è il male del secolo ma in molti casi la prevenzione salva la vita! Non essendo un medico oncologo posso argomentare poco da un punto di vista tecnico, ma posso, da donna che si è ammalata, portare la mia esperienza e il mio percorso. Di questi giorni è la feroce polemica nei confronti di Nadia Toffa, per aver detto una frase maldestra, quando ha parlato di “cancro come dono”. È chiaro che voleva dire altro, cioè che la malattia a volte può essere un’opportunità per cambiare la propria vita ristabilendo altre priorità. Perché la malattia ha un potere di trasformazione.

Anche Nadia Toffa sa bene che il cancro non è un dono. In questi giorni si è spiegata meglio, si è scusata. Ma sui social si leggono ancora commenti e insulti terribili nei suoi confronti. Nadia sta lottando contro una malattia terribile come il cancro; è stata attaccata, l’hanno accusata di mettere troppo in piazza. Filippo Facci ha scritto su di lei un articolo durissimo e, secondo me, irrispettoso.

Prima di attaccare, di giudicare, fermiamoci a pensare e a pesare le parole che, molte volte, sono pietre in contesti e in percorsi così fragili e difficili. Alcuni vivono la malattia con riservatezza e vanno rispettati, ma altre persone possono decidere di condividerla, perché spesso raccontare questa esperienza, scrivere le proprie, emozioni può essere terapeutico per se stessi e per gli altri. Anche io ho condiviso molto la mia malattia: parlarne con gli altri mi ha aiutata ad accettarla.

Ognuno davanti a una malattia grave come il cancro reagisce in modo diverso e nessuno, nessuno può e deve giudicare! Nessuno vorrebbe lottare contro un mostro di nome cancro, io di certo non avevo bisogno di questo percorso per comprendere il valore della vita, perché quello lo conosco bene! Per questo motivo non ho mai considerato la malattia una punizione o qualcosa di cui vergognarmi o per la quale nascondermi; perciò ritengo che, in alcuni casi, bisogna scrivere e raccontarsi: sicuramente il dolore non è una vetrina ma è comunicandolo agli altri e superandolo, che si trova il senso di ciò che ingiustamente ci accade, anche se ci sono momenti in cui la tempesta sembra passata e ti rimane il tarlo della paura e lo sconforto, perché pensi che questo nemico subdolo e infame sia ancora dentro di te, pronto a colpirti quando la vita comincia a sorriderti.

Scrivere mi ha aiutata contro il male: nei momenti di forte crisi della diagnosi, quando la stessa vita viene messa in discussione, quando il mondo che ti appartiene pare sgretolarsi tra le dita, in percorsi fatti di ricoveri, esami e controlli che minacciano di non terminare mai, in una continua ed estenuante lotta per la propria esistenza, entri in una dimensione che solo chi fa questi percorsi conosce. La verità narrativa è stata un’ottima terapia; è la conferma di come la parola possa essere trascrizione e traduzione dell’anima e aiutare, nei frangenti di dolore, sia chi sia chi legge.

La scrittura, come il parlarne, è la prova di una reazione all’esperienza che si sta vivendo: è il desiderio di condividere pensieri a volte di sofferenza a volte gioiosi; è il ricordo, la speranza e l’affetto che si mescolano tra loro; è la rabbia per la malattia e per le cure; è la protesta per attenzioni non ricevute, per l’ indifferenza di chi non ti aspettavi ti voltasse le spalle (perché spesso noi malati oncologici siamo isolati), oltre le difficoltà incontrate per l’intervento chirurgico e le terapie.

Certo è una finestra aperta sull’intimità, non per dare un messaggio di sconforto e disperazione bensì per comunicare l’importanza della diagnosi precoce, dell’arrivare in tempo per lottare contro il nemico. Soprattutto, scrivere di sé consente di familiarizzare con gli eventi, dando loro un senso, una forma, per arrivare a quel meccanismo di accettazione emotiva e non razionale che ritengo fondamentale per poter star bene anche dopo il cancro. L’autobiografia è un’esperienza liberatoria e allo stesso tempo un’impresa emozionante, in cui si apre la possibilità d’imparare qualcosa dal racconto di sé.

Le nostre emozioni sono una fonte preziosa d’informazioni su chi siamo, su chi possiamo essere e su come possiamo relazionarci ad ogni evento della nostra vita. In quest’ottica, dunque, il racconto di sé suggerisce che possiamo fare qualcosa per noi stessi, c’insegna a non aspettarci sempre tutto dagli altri, che il cancro non è soltanto un problema medico e che possiamo viverlo bene o male a seconda del nostro particolare modo di guardarlo, di accettarlo e di collaborare alla cura. Comunque, condividere con gli altri la dura esperienza della malattia, non è facile perché malattia e sofferenza sono temi impopolari, coinvolti come siamo in un mondo più di apparenza che di sostanza. È vero che i numeri che caratterizzano il tumore, soprattutto alla mammella, spaventano, ma le reazioni di molte donne incontrate mi hanno rassicurato e mi hanno spinto a dare messaggi di solidarietà e positività. A volte i cambiamenti legati all’esperienza cancro arricchiscono più che mai tutte le vite, anche quelle che vengono toccate dal dolore: valgono la pena di essere vissute pienamente e consapevolmente, perché è in questi percorsi che comprendi e misuri l’aspetto umano delle persone che incontri.

Nella maggior parte dei casi ti guardi intorno e recepisci la solidarietà dimostrata a chi soffre da parte di medici ed infermieri, ma anche di familiari ed amici; la capacità d’accogliere ed ascoltare il dolore, la forza d’accompagnare l’altro nel suo difficile percorso, con umiltà e rispetto, tutto questo è il segno di un’altissima civiltà ed è uno dei mattoni fondamentali per costruire il ponte tra il prima e il dopo. È duro accettare la malattia, il cambiamento che porta nelle nostre vite e il segno profondo che lascia dentro di noi, ma questa è l’esperienza che molte di noi stanno ancora vivendo ed è la nostra più grande vittoria, dimostrare che ogni giorno è un miracolo e che si può sorridere sempre e nonostante tutto.

Per questo uso il mio sorriso come arma da combattimento: perché mi sono resa conto di avere una forza interiore impressionante e questo lo devo agli specialisti incontrati, in particolare ad un medico speciale che con grande cura e dedizione mi ha supportata; tutto questo lo devo alle persone che mi amano e hanno sempre creduto in me, ricordandomi di avere grinta e carattere per sopravvivere a tutto questo, ma anche a chi da lassù ha creduto in me dandomi forza, fede e speranza. Conserverò tutto nel mio cuore e nella mia memoria perché, nonostante questo nemico si stesse impossessando del mio corpo, la mia forza di volontà lottava per avere la meglio.

Perciò eccomi qui a “testimoniare”, nella speranza di guardare al passato non come un brutto ricordo da dimenticare, ma come un piccolo incidente di percorso che non mi ha fatto perdere di vista l’obiettivo principale e che mi ha insegnato ad amare ogni piccolo dettaglio della giornata. Questo per dire che la mia storia è la storia di tante donne: il cancro ti cambia la vita. Queste cose non dovrebbero accadere ma la vita è anche questo e non serve a nulla prendersela con il mondo e con Dio.

Il “dono” consiste nel grande miracolo che è racchiuso in ogni giornata: basta un raggio di sole sulla mia pelle e il calore per farmi sentire viva e felice. Sono piccoli momenti di immensità perché oggi guardo tutto con occhi diversi: vedo cose che prima non vedevo e, mentre cammino tra la gente avvolta dall’indifferenza e dalle corse frenetiche, il mio tempo si ferma e colgo negli sguardi la tristezza e l’inconsapevolezza di chi ha un tesoro tra le mani e spesso non lo riconosce. Quanta gente non vede pur avendo una buona vista, li si sente parlare di cose senza senso, li si sente arrabbiati con il mondo e con la vita.

Ogni giorno per loro è un dramma e niente va bene. Eppure basterebbe poco. Non dimenticherò mai quello che mi è successo e che potrebbe succedermi ancora, ma ora sono arrivata fin qui, continuando giorno dopo giorno, con la consapevolezza che ogni attimo, ogni giorno in più, e già un grande traguardo. Perciò, donne, dedicate un po’ del vostro tempo alla prevenzione: io l’ho fatto e mi sono salvata la vita.

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Redazione