Consumo del suolo: perdiamo due metri quadrati di verde al secondo

di Daniela Pastore

Nonostante la popolazione diminuisca si costruisce sempre di più. Nell’ ultimo decennio l’Italia ha “occupato” con cemento o asfalto superfici che erano in grado di assicurare lo stoccaggio di due milioni di tonnellate di Co2. La cementificazione avanza senza sosta soprattutto nelle aree già molto compromesse ed il consumo di suolo è un fenomeno grave da fronteggiare con urgenza. Sempre più grigi i nostri orizzonti. L’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (ISPRA) si riferisce al consumo di suolo come a “un fenomeno associato alla perdita di una risorsa ambientale fondamentale, dovuta all’occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale. Il fenomeno si riferisce a un incremento della copertura artificiale di terreno, legato alle dinamiche insediative e infrastrutturali“. Un suolo risulta quindi consumato quando viene impermeabilizzato e, di fatto, non è più in grado di svolgere la propria funzione in quanto tale. Esso ci fornisce servizi ecosistemici sui quali si basa la nostra sopravvivenza e svolge numerose funzioni vitali per il benessere dell’ambiente: produzione di biomassa e supporto all’attività agricola e forestale, regolazione del ciclo idrologico (immagazzinamento dell’acqua, riduzione del dilavamento, ricarica delle falde) supporto alla biodiversità, regolazione del clima. Tuttavia, tale risorsa è fondamentalmente non rinnovabile, in quanto la pedogenesi – ovvero il processo che porta alla formazione del suolo grazie all’azione di fattori fisici, chimici e biologici – è estremamente lenta: sono necessari almeno 500 anni per la formazione di 2,5 centimetri di suolo (Pileri, 2015). Perciò, una volta che il terreno è stato impermeabilizzato per far posto a strade, case o ad altre attività antropiche, tutte le sue funzionalità vengono meno. E rimuovere la copertura non è sufficiente a ripristinarlo in tempi brevi, di conseguenza diventa essenziale proteggerlo e limitarne il consumo. Il consumo di suolo in Italia è un fenomeno connesso soprattutto allo sprawl urbano (città diffusa): le città e i paesi invece di utilizzare gli spazi nell’urbanizzato già presente, si sviluppano in modo disaggregato e dispersivo, con espansioni a bassa densità e un elevato consumo di suolo pro‐capite. A ciò consegue, oltre l’incentivo all’utilizzo di mezzi privati, la necessità di sviluppo infrastrutturale e commerciale che comporta ulteriori costruzioni e impermeabilizzazioni. Inoltre, buona parte degli introiti dei comuni prima della recente crisi immobiliare derivavano dagli oneri di urbanizzazione, quindi le municipalità non hanno mai avuto un vero interesse nel limitare il consumo di suolo e le pianificazioni sono sempre state fatte in un’ottica di crescita con una previsione demografica che ora non è più rispecchiata. In particolare, in Italia la maggior parte dei suoli consumati sono seminativi, quindi con sottrazione di terreno alle aree adibite alla produzione agroalimentare: la regione più colpita è la Lombardia (13% del suolo regionale consumato), seguita dal Veneto (12%) e dalla Campania (10%). Come fatto presente anche dal Wwf nel documento Caring for our soil, il continuo consumo di suolo causa una modifica costante nei paesaggi agrari, affiancata da un’occupazione di zone a rischio idrogeologico, che, visto il contesto di fragilità del territorio a livello italiano, può avere importanti conseguenze per la sicurezza. Infatti, l’acqua che non viene assorbita dal suolo impermeabilizzato finisce direttamente nei fiumi che si ingrossano e non sono più trattenuti dagli argini. Il suolo si comporta da regolatore termico; infatti, già intorno ai 15-20 cm di profondità, le variazioni di temperatura sono molto limitate e ciò permette al terreno di agire come volàno. Inoltre, le aree in cui il suolo è stato consumato e quindi cementificato o asfaltato tendono a immagazzinare e sprigionare molto calore nei mesi estivi, diversamente da quelle coperte da vegetazione, che, grazie all’evapotraspirazione delle piante, garantiscono un abbassamento di temperatura. In aggiunta, il suolo agisce come un immenso immagazzinatore di carbonio, tramite l’accumulo di materia organica e la fissazione della CO2 per opera delle piante: contiene circa 1.500 miliardi di tonnellate di carbonio non-fossile, secondo solo all’oceano. Una volta impermeabilizzato, il suolo non può più fissare carbonio, sia tramite la vegetazione sia dall’aria. In difesa del suolo, l’Unione Europea si è mossa invitando gli stati membri a puntare a un azzeramento netto di consumo di suolo al 2050, quindi con un’urbanizzazione che preservi il rapporto tra aree impermeabilizzate e aree libere, utilizzando aree dismesse oppure compensando con la bonifica di suoli o la riqualifica di zone degradate. Ennesimo segnale che bisogna ritornare a riabitare le zone interne, risolvendo in tal modo il problema dello spopolamento dei piccoli comuni e salvaguardando la nostra terra.

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Redazione