Covid-19 e disturbo post-traumatico da stress

di Veronica Benincasa

È vero che il coronavirus sta facendo aumentare i casi di disturbo post-traumatico da stress?

La pandemia di COVID-19 è diventata rapidamente un’emergenza sanitaria di livello globale, i cui problemi sono stati sia di natura fisica che psicologica. Nello specifico pensiamo alle conseguenze sulla salute psicologica delle persone esposte a morti inaspettate o minacce di morte.

I pazienti che hanno contratto il Covid-19, hanno dovuto sperimentare l’isolamento sociale e il disagio fisico, insieme alla paura per la propria sopravvivenza. Tutte queste situazioni permettono ai disturbi post-traumatici da stress di covare sottopelle.

Che cosa è il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS O PTSD)

Il disturbo post-traumatico da stress, conosciuto con l’acronimo DPTS o più comunemente PTSD, dall’inglese post-traumatic stress disorder, è un disturbo che alcune persone contraggono dopo aver vissuto o assistito a un evento pericoloso o terrificante. Il PTSD è una conseguenza all’esposizione a situazioni che causano intensa paura, impotenza o orrore.

Alcuni esempi possono includere le aggressioni, sia di natura sessuale che fisica, la morte inaspettata di una persona cara, incidenti, guerre, inizialmente infatti veniva chiamato nevrosi da guerra, poiché riscontrato in soldati impegnati in pericolose azioni belliche, o disastri naturali.

Persino le famiglie delle vittime possono sviluppare il PTSD, così come non è raro riscontrarne dei casi nel personale di emergenza o negli operatori di soccorso. Solitamente, quando si vive un’esperienza traumatica, si hanno reazioni come shock, rabbia, nervosismo, paura e in alcuni casi, persino senso di colpa. Si tratta di reazioni comuni che, col tempo, tendono ad affievolirsi fino a non esserci più.

Si stima che le persone che vivono esperienze traumatiche oscillino tra il 60% e l’80%. In una persona con PTSD, tuttavia, le sensazioni appena illustrate rimangono sempre in superficie e tendono ad aumentare, fino a divenire così forti da impedire il proseguo della vita in maniera naturale.

Normalmente, quando si è in pericolo o si vive un’esperienza traumatica, il sentimento più comune è la paura. Si tratta di una reazione che innesca molti cambiamenti nel corpo, finalizzati ad adattarsi alla situazione e a fronteggiarle. Nei pazienti che soffrono di PTSD la reazione alla paura è danneggiata. Ciò li fa sentire, tra le altre cose, stressati o spaventati anche quando il pericolo e la situazione minacciosa non sono più presenti.

Si stima che il 5% degli uomini e il 10% delle donne soffra di PTSD nel corso della vita.

La psicoterapia cognitivo comportamentale è una delle forme di intervento maggiormente efficaci per affrontare tale disturbo, offrendo un valido aiuto per gestire l’ansia e intervenire sui pensieri e i comportamenti disadattivi ad essi correlati.

Per quel che riguarda il rischio che l’esposizione diretta al COVID-19 può avere per il PTSD: “Il rischio, infatti, può aumentare ulteriormente e vertiginosamente per coloro che hanno contratto il virus, dal momento che questi individui potrebbero non ricevere un supporto psicologico immediato a causa della necessità di quarantena. Se non trattato in maniera accurata, il PTSD può durare a lungo, anche anni, causando disagio sostanziale ed enormi difficoltà sul piano sociale e lavorativo.

Tra le possibili strategie da considerare per arginare i rischi di PTSD nelle persone esposte a Covid- 19 si potrebbero includere il supporto psicosociale e gli interventi precoci, ma anche l’educazione alla salute, la psicoeducazione al disturbo PTSD e l’educazione alla psicoterapia.

Molto utile nel trattamento di questo disturbo si è rivelata la MBSR acronimo di Mindfullness-based stress reduction, ideata da Jonn Kabat-Zinn, molto indicata per modulare i sintomi associati ad un vissuto traumatico. Questa pratica, infatti agisce sul sistema nervoso e sulla risposta del sistema parasimpatico, riducendo l’arousal e la reattività.

La Mindufllness, aiuta a rimanere nel momento presente, senza reagire automaticamente, anche quando emergono le memorie intrusive. Consente di ridurre il senso di colpa conseguente la messa in atto di strategie di coping come l’evitamento, il perfezionismo o la dissociazione, in presenza di flashback o di stimoli target.

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