Epidemia, sogno di ogni tiranno

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di Walter Di Munzio*

“L’epidemia è il sogno del tiranno, perché tutti diventano obbedienti per propria volontà”, ha detto Benasayag in un’intervista diffusa sul web. Questi stessi temi avrebbe dovuto trattarli in un convegno a Milano presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Miguel Benasayag è un filosofo della complessità, oltre che un noto psicoanalista, argentino di nascita e parigino di adozione. Nell’intervista a cui ci riferiamo ha parlato del sentimento della paura all’epoca del coronavirus, sottolineando come un’emergenza come questa caratterizza il decorso delle epidemie e può realizzare rapidamente il “sogno” di ogni tiranno. Ciò perché è una di quelle rare contingenze in cui, a causa di una diffusa depressione di massa, si spegne la volontà di reagire, e tutti, condizionati dal terrore di morire e posti di fronte ad un male sconosciuto, diventano remissivi e obbedienti per scelta, rinunciando, di conseguenza, a quote di libero arbitrio e persino a diritti costituzionali in dimensioni tali e, fino a quel momento, inaccettabili. È veramente improbabile, in queste contingenze, fare previsioni corrette sui tempi e sui percorsi della pandemia. Abbiamo visto arenarsi nelle nebbie del nulla le previsioni confuse di illustri virologi e persino di famosi scienziati. Un’epidemia segue sempre percorsi nuovi e sconosciuti. Spesso in direzione diametralmente opposta a quella prevista dagli esperti, che fanno riferimento sempre ad algoritmi già noti e di crisi precedenti. Per questo motivo la modernizzazione esasperata e l’uso di tecnologie informatiche basate sull’intelligenza artificiale (IA), esternalizza persino le catene decisionali delegandole a sistemi informatici e affidandosi a modelli previsionali costruiti sull’esperienza, questi toppano miseramente. Non possono infatti tener conto della specificità di ogni crisi pandemica, necessariamente ancorata alla ciclicità dell’infezione che comporta, ad ogni ciclo, un’ulteriore evoluzione del virus o dell’agente infettante che, per poter sopravvivere, deve necessariamente mutare, modificare il proprio patrimonio genetico e percorrere strade nuove ed inesplorate.

È per questo motivo che tutte le previsioni per difendere l’umanità da una certa malattia, come quella in corso, si sono spesso rivelate fallaci e senza esito. Producendo poi reazioni violente tra la popolazione che deve continuare a subire le restrizioni di movimento e da parte di commercianti e piccoli imprenditori, che devono subire le drammatiche conseguenze economiche del prolungarsi delle chiusure forzate dei loro esercizi e delle loro aziende. E come dargli torto? La crisi si è riversata su di loro come sulla parte più debole della popolazione. Le difficoltà economiche ed il trionfo dell’individualismo, in ogni campo, hanno fatto sì che i mega-ricchi diventassero ancora più ricchi ed i poveri ancor più diseredati. Il mondo è stato trasformato in quest’ottica, ribaltando anche le più consolidate certezze del vecchio sistema produttivo, a favore delle grandi concentrazioni economiche, che erano già forti prima. E di quelle aziende che hanno saputo riconvertire il proprio business, orientandolo verso produzioni rivelatisi carenti ma quanto mai necessarie, come i vaccini, i disinfettanti, le nuove tecnologie sanitarie e via di seguito. Tutto a scapito di tanti posti di lavoro e di grandi insediamenti industriali. Gli stessi proprietari oggi producono di più e, addirittura, tenendo i lavoratori a casa o spostando le produzioni in altri paesi dove il costo del lavoro è più basso. Quegli stessi paesi che hanno adeguato velocemente le loro reti informatiche e producono molto e a distanza. Senza vincoli, con pochi controlli e, soprattutto, senza quelle lunghe e per loro fastidiose contrattazioni sindacali. La stessa logica investe tutti i campi. I beneficiari della crisi non sono stati solo i grandi imprenditori; hanno approfittato della passività della popolazione anche quei politici alla ricerca di conferme o di spazi di visibilità. Avete notato come ad un certo punto sembrava di assistere ad una corsa a chi la diceva più grossa. Se da un lato si chiedeva più libertà di movimento, dalla sponda opposta si chiedevano più restrizioni e minori margini di movimento. Quasi come se avessero capito che la competizione era tutta su chi riusciva ad ottenere ciò che rivendicava, più libertà di movimento o più sicurezza e quindi più limitazioni. Questo a riprova che un popolo annichilito è piegato alla volontà di chi governa e accetta qualunque decisione viene presa sulla sua testa.

Il vero problema verrà alla fine della crisi quando la polizia dovrà tornare al proprio posto, come i tecnici, i politici e quando la gente non sarà più governata dalla paura e dal masochismo del potere. Allora, forse, quando ci si dovrà confrontare nuovamente con i problemi ordinari, si tornerà a valorizzare nuovamente la competenza vera e la capacità di affrontare e risolvere problemi.

*psichiatra e pubblicista

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