Ipotesi e riflessioni sulla rigenerazione salernitana

di Giuseppe Carpentieri

Interventi di rigenerazione urbana sono realizzabili se e solo se, l’Amministrazione ripensa il proprio strumento urbanistico, e nel farlo dovrebbe aprire la disponibilità ad un processo partecipativo aperto, fornendo a tutti un corretto quadro di conoscenza della città. Nell’avvio di tale processo, l’Amministrazione dovrebbe invitare tutti quei Comuni facenti parti della medesima struttura urbana estesa, e poi dar vita ad un ufficio di piano ad hoc per elaborare e gestire uno strumento urbanistico intercomunale finalizzato ad ottenere un corretto assetto del territorio; il relativo disegno di suolo ed individuare tutti gli ambiti ed i comparti coinvolti da interventi rigenerativi. Questo approccio cooperativo di area vasta dovrebbe suggerire un salto culturale, dove una forte regia pubblica, con l’ausilio di competenze che provengono dalla scuola territorialista, può consegnare un corretto strumento urbanistico capace di valorizzare le risorse locali e correggere i numerosi errori del passato che hanno recato danni sociali, ambientali ed economici.
La storia moderna dell’urbanistica salernitana è ricca di esempi negativi e dovrebbe insegnarci a non continuare a distruggere il nostro il territorio ed anzi fare l’opposto: rimuovere la speculazione, punto per punto, zona per zona, al fine di restituire bellezza, decoro ed armonia a tutti gli abitanti.
Ad esempio, partendo dal centro storico salernitano una sua caratteristica di luogo è la profondità dello spazio urbano che stimola la curiosità, la ricerca, l’esplorazione tipica degli esseri umani. La complessità del suo agglomerato offre un’esperienza originale ricca di percorsi, punti di vista, scorci e slarghi. È un centro antico che si percorre a piedi, caratterizzato dall’orografia dei suoi dislivelli, con lunghi e stretti corridoi irregolari e punti di vista panoramici. La sua intricata irregolarità offre numerose intersezioni ed esperienze percettive diversificate; e queste originali configurazioni offrono spazi e tracciamenti particolari e singolari. L’irregolarità del suo impianto è dettata dalla natura che costrinse gli abitanti a forme di appoderamento originali, e ciò caratterizza principalmente l’insediamento romano prima, e medievale dopo, che ne determina l’identità fino ad oggi. Un limite naturale, o una difficoltà orografica fu un valore identitario, sia per proteggersi e sia per godersi il paesaggio. Nello studio della morfologia urbana, storia e conoscenza del territorio sono valori identitari per comprendere le dinamiche dei processi antropici, ma osservando la costruzione della città moderna si evidenzia l’assenza di coscienza e conoscenza del territorio, e persino l’assenza della scienza urbanistica poiché la crescita irregolare degli edifici moderni ha distrutto elementi e caratteri identitari del territorio salernitano, dalla speculazione interna al centro antico transitando per la cementificazione incivile e selvaggia delle colline fino alla gettata di cemento sul fiume che dà il nome alla città. Il paradigma culturale dominante, di tipo modernista, ha costruito un piccolo ed obsoleto porto commerciale nel posto sbagliato: l’inizio della costiera amalfitana. L’infrastruttura non ha né capacità e prospettive di vero commerciale, e né i criteri di compatibilità ambientale, anzi è un danno ambientale e sociale immenso poiché vieta agli abitanti la fruizione di un luogo storico identitario, ormai cancellato ma andrebbe ripristinato.
L’insegnamento urbanistico di questa storia ci dice che nei secoli scorsi chi amministrava rispettava la natura e le scelte di pianificazione erano in funzione di un maggiore godimento del paesaggio senza distruggerlo [ovviamente non possiamo sapere cosa avrebbero fatto se avessero avuto a disposizione le conoscenze tecniche del Novecento…], mentre le amministrazioni politiche salernitane, a partire già dalla dittatura fascista e poi ancora durante il secondo dopo guerra del Novecento, si sono occupate di fare l’opposto: distruggere le preesistenze devastando in maniera irreversibile il paesaggio naturale lasciando danni ambientali alle presenti e future generazioni. Cittadini e amministratori illuminati dovrebbero porre rimedio alla devastazione. Se nel medioevo vi era consapevolezza dell’orografia del territorio che offriva opportunità di scorci e punti di vista, durante l’epoca moderna la mentalità fascista e capitalista dei notabili salernitani, che arriva fino ad oggi, preferisce il famigerato piano Marconi (un piano edilizio, 1958) consentendo la cementificazione e la distruzione delle colline con lottizzazioni senza regole estetiche e paesaggistiche attraverso palazzine multipiano sproporzionate in altezza ed in ampiezza fortemente addensante (senza alcuna regola compositiva circa la corretta distanza fra gli edifici per consentire alla luce naturale di illuminare e riscaldare i piani più bassi) fino a vietare agli abitanti stessi sia la luce naturale ai primi piani, e quindi fino a negare quegli scorci tipici del paesaggio salernitano per chi vive ai piani più bassi. Eppure la fabbricazione delle città medioevali si caratterizza proprio per l’eccessivo addensamento (alto carico urbanistico) che innesca rischi sanitari e insalubrità (senza dimenticare l’assenza di una rete fognaria), per l’assenza di luce ai piani bassi, e tale limite non viene considerato in epoca moderna cosicché il centro storico salernitano è aggredito dalla violenza di edifici moderni. L’assurdo contrasto del centro antico salernitano consiste anche in questo aspetto tecnico: una fabbricazione consapevole della complessa orografia del territorio consentiva e consente agli edifici antichi di avere viste spettacolari ai piani alti, che con le tecniche costruttive dell’epoca si traduce in un terzo o al massimo quarto piano, poi l’epoca moderna rompe questo limite e costruisce dentro il centro antico palazzine di sei ed otto piani deturpando in maniera irreversibile un piccolo borgo antico davvero originale nel suo aspetto. Per restituire l’immagine storica di quel borgo, e quindi per compiere una seria valorizzazione culturale ed economica di Salerno antica non esistono mezze misure: le speculazioni edilizie vanno demolite tutte senza infingimenti e compromessi. Sin dall’inizio del Novecento la scienza dell’urbanistica, al fine di conservare i centri storici, ideò la tecnica dell’isolamento ma nel caso salernitano questa non venne presa in considerazione, anzi si realizzò una violenta aggressione al patrimonio storico costruito ed al paesaggio.Partendo dalla storia locale è possibile progettare un futuro sostenibile ed i cattivi esempi ci dicono di restituire i luoghi identitari agli abitanti attraverso interventi rigenerativi, non solo nel centro storico, ma nei quartieri moderni. La mentalità capitalista e cosiddetta funzionalista ha avuto il coraggio di realizzare il tracciato della tangenziale salernitana sul letto del fiume che darebbe il nome alla città, così come il porto commerciale che cancella la storica spiaggia dei salernitani. Che tipo di ceto dirigente distrugge i luoghi identitari del proprio territorio? Siamo talmente abituati alla prevaricazione, alla violenza ed al brutto che tutti i giorni attraversiamo spazi di degrado ma non li riconosciamo come tali poiché abbiamo perso il senso della bellezza che in altre città è il carattere dei luoghi urbani. L’Amministrazione dovrebbe avere il coraggio di rigenerare la spiaggia storica di Salerno e spostare il tracciato della tangenziale che ha distrutto il letto del fiume Irno e dei suoi affluenti, per ri-naturalizzare il luogo progettando un unico parco che entra nella valle con servizi ricreativi, sportivi, turistici e terziari tutti accessibili attraverso la mobilità dolce. Altri importanti interventi rigenerativi vanno pensati nei quartieri privi di standard con trasferimenti di volumi e sfruttando come aree di atterraggio gli spazi già urbanizzati ma abbandonati.

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