La città dei 15 minuti, a misura d’uomo e rispettosa dell’ambiente

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di Daniela Pastore

Abitare la prossimità: dolce utopia o nuova sfida? La pandemia ha cambiato il modo in cui viviamo in città, gli spazi urbani sono in crisi. E si parla sempre più di un modello di progettazione urbana con alla base l’idea che ogni servizio essenziale debba essere raggiungibile con una passeggiata lunga o una pedalata, al massimo, in 15 minuti. Mai come ora, in questo periodo in cui siamo così concentrati su ciò che è locale, ci sembra importante la sensazione di essere connessi e sostenuti. Il 2020 ha portato molte cose, la maggior parte delle quali inaspettate e indesiderate, ma l’attenzione sul luogo dove viviamo sta al cuore di ciò che ci è stato consegnato da questo momento introspettivo. Mai prima d’ora siamo stati costretti a immergerci nelle nostre comunità e a sollevare il velo su ciò che costituisce veramente i nostri quartieri. L’interconnessione tra il progetto delle nostre città e la felicità dei residenti è un racconto che conosciamo bene, ed è proprio la focalizzazione sulla salute e sulla prosperità che ha portato all’importante narrazione del “quartiere dei 15 minuti”, idea partorita dal Sindaco di Parigi Anne Hidalgo e che ha stravolto il concetto attuale di metropoli. Questa suggestiva idea di Smart City si sta facendo strada nella pianificazione strategica di molte città. A Parigi si era cominciato a riflettere già prima della pandemia su un modello alternativo a quello della metropoli novecentesca. L’avevano chiamato ville du quart d’heure, città del quarto d’ora (città da 15 minuti), con spazi abitativi a breve distanza dal lavoro e servizi. Tuttavia non è solo il vecchio continente ad aver scoperto una nuova dimensione dell’abitare, anche dall’altra parte dell’oceano, Melbourne, ha varato il piano twenty minutes neighborhood, impegnandosi a garantire ai cittadini la possibilità di soddisfare la maggior parte dei propri bisogni quotidiani con una passeggiata da casa. E mentre a Copenaghen è nato il quartiere soprannominato five minutes to everything, Genova sta ripianificando secondo un modello che chiama la città dei 2 km. La sensazione di essere in una città a misura d’uomo è chiara: fare le cose appare semplice, mai opprimente, e stare al suo interno è confortante. Quando manca invece una progettazione, sono le persone a soffrirne. Il districarsi degli impulsi psicologici necessari per creare e promuovere esperienze multi- sensoriali è alla base dei punti chiave delle filosofie del quartiere dei 15 minuti e incoraggia la progettazione per creare una comunità sana. Recuperare la risorsa tempo e salvaguardare la serenità dei cittadini sembrano essere le nuove priorità di chi progetta. Fulcro del movimento è la creazione di un design urbano di qualità che si basa sul verde. La chiave è l’accesso a spazi sicuri, rispettosi del territorio e diversificati, che incoraggiano le diverse interazioni all’interno di un quartiere. Originariamente coniata a Portland, come “Portland Plan”, l’iniziativa si collega al piano climatico della città dell’Oregon, per cui entro il 2030 il 90% degli abitanti potrà facilmente raggiungere da casa, a piedi o in bicicletta, qualsiasi servizio necessario nel giro di pochi minuti. Il Portland Plan è stato incentrato sulla promozione della prosperità, sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, e sul fare in modo che istruzione, salute ed equità ne traggano benefici. Il “Piano Melbourne 2017-50” di Melbourne, in Australia, è una simile strategia di pianificazione a lungo termine, attraverso cui rendere più sfumata la tradizionale separazione tra vita privata e lavoro, avvicinandoli tra loro. Attraverso il decentramento della città come principale centro di servizi e di lavoro, e come spazio di collegamento sociale, ogni quartiere viene messo in grado di incoraggiare la mobilità attiva, ospitare abitazioni di tipo diverso, fornire alloggi a prezzi accessibili, insieme a strutture sportive e ricreative, scuole, ospedali, negozi di vendita al dettaglio. E non si tratta semplicemente di far convergere la vita in città in uno spazio a misura d’uomo. Si tratta anche di inquinamento. Attualmente le città occupano appena il 2% della superficie terrestre, ma consumano tre quarti delle risorse usate ogni anno e producono nuvole di gas serra, miliardi di tonnellate di rifiuti solidi e fiumi di esalazioni tossiche. Per questo, i nuovi modelli economici non possono svilupparsi senza un ripensamento dello spazio urbano, con scelte urbanistiche che mettano in relazione gli aspetti economici e dell’abitare sociale. Soprattutto considerando che la componente green del Recovery fund italiano è la più consistente: assorbirà 74,3 dei circa 209 miliardi destinati in tutto al nostro Paese. Ritornare alla vita di quartiere sembra possibile, con una nuova attenzione all’ambiente e alla salute dei residenti.

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