Un uragano di fango: la terribile notte del 1954

di Ferdinando Giordano

Tra il 25 e il 26 ottobre del 1954, l’Italia conobbe la gioia e il dolore. Infatti, mentre si gioiva per il ritorno di Trieste alla patria, nel salernitano si piangeva per l’alluvione che sconvolse parte della provincia.

Verso la sera del 25, le piogge iniziarono ad intensificarsi aumentando di volta in volta, senza mai fermarsi. L’equivalente di dieci mesi di pioggia cadde in una sola notte, innescando una serie di eventi straordinari che causarono ingenti danni nella zona da Salerno a Minori/Tramonti. I testimoni di quella notte ebbero la sensazione di essere schiacciati da un uragano di fango.

Gran parte dei collegamenti stradali, idrici e ferroviari, soprattutto lungo la costa, fu Alluvione 1fortemente danneggiata. A Salerno la zona di Canalone fu devastata; il famoso ponte del Diavolo di Vietri sul Mare venne demolito quasi completamente e molti danni subì anche il monastero benedettino di Cava de’ Tirreni.

La tragica notizia rimbalzò tra le varie testate giornalistiche nazionali con una moltitudine di immagini che “descrissero” il flagello. Il governo, sin da subito, si mobilitò per i primi soccorsi. Il tutto fu coordinato da un ispettore generale e nell’immediato si stimarono i danni, i feriti e i morti. Il presidente americano, Eisenhower diede disposizioni ai suoi connazionali affinché fossero aiutate le popolazioni colpite. Nel dolore non mancarono episodi di sciacallaggio come il caso di due giovani di Angri colti in flagranza a rovistare tra le macerie di Cava de’ Tirreni.

I danni calcolati si aggirarono intorno ai 35 miliardi. Alto il numero degli sfollati: 2760 famiglie rimasero senza casa. Le vittime furono 318: 108 a Salerno, 117 a Vietri e frazioni (Molina, Albori e Marina), 31 a Cava e frazioni (Alessia e Marini), 34 a Maiori, 3 a Minori e 25 a Tramonti (soprattutto in zona Ferriera).

Raffaele d’Atria, uno degli sfollati di Salerno disse al cronista del quotidiano “La Stampa” le seguenti parole: «Alle 5:30 cessò del tutto la pioggia, vidi un po’ di chiarore scendere dal Monte San Liberatore, e mi sembra ancora di sognare quando penso il palazzo accanto al nostro che non c’è più. Scomparso senza lasciare quasi traccia. Neppure di macerie».

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Redazione