Vaccini, chi sono i saltafila?

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di Walter Di Munzio*

Anche Draghi sbaglia. È umano e questo, in fondo, ci rassicura. Nella conferenza stampa della settimana scorsa l’ha detta veramente grossa quando ha criticato i giovani psicologi, additandoli come vaccinati abusivi e quindi “saltafila”. Non sono certamente loro, che notoriamente sono sanitari al pari dei medici e come questi incontrano pazienti, che devono essere protetti da eventuali contagi. Non possono essere accusati di sottrarre dosi agli anziani, che rischierebbero per questo la vita. I veri saltafila, quelli pericolosi da stigmatizzare, sono coloro che, con arrogante indecenza, hanno bypassato le file pur di riuscire a conquistare l’ambito vaccino. Politici, amici di amministratori e amici degli amici, che sono stati attivati involontariamente dallo stesso generale Figliulo quando, all’inizio del suo incarico, ha invitato i medici a vaccinare “chi passa” pur di raggiungere un numero consistente immunizzati, per accelerare il successo della campagna vaccinale.

Naturalmente, qualche scaltro politico, ha immediatamente colto l’occasione per approfittarne personalmente, altri per stilare liste di amici e clienti passare sottobanco ai centri vaccinali per sfruttare i vuoti nelle prenotazioni, e utilizzare giorno per giorno le cosiddette “fiale residue”. E qualcuno ha avuto persino la sfrontatezza di affermare che lo faceva per motivi istituzionali e poter continuare a svolgere in sicurezza il proprio ruolo o, peggio, per “dare il buon esempio”, intendendo dire per combattere il dilagare del negazionismo no-vax che, francamente, non si è visti granché in giro. Altra e meritoria cosa sarebbe stata invece se avessero inteso dare il buon esempio oggi, davanti a giornalisti e telecamere, vaccinandosi pubblicamente con il tanto bistrattato AstraZeneca. Su questo vaccino si è consumata infatti una scellerata campagna di diffamazione mondiale, non si capisce bene perché e per quali interessi, a cui si sono sommati clamorosi errori di comunicazione, che hanno creato intorno a questo vaccino un alone di diffidenza e una percezione di pericolosità. È stata questa campagna a diffondere il panico, che ha indotto molti a rifiutare il vaccino, considerandolo pericoloso. Cosa non vera fino in fondo. Le agenzie sanitarie di tutto il mondo hanno infatti certificato che i rischi sono sostanzialmente bassi, e certamente non sono di tali dimensioni da indurre a non utilizzarlo in questa caotica campagna vaccinale. Sarebbe come se qualcuno si rifiutasse di fare una radiografia dopo un incidente stradale per evitare il rischio di intossicazione da radioattività insito nella procedura radiografica, esponendosi agli esiti di fratture non trattate in questo caso come invece ai rischi di ospedalizzazione e polmonite per un ritardo nella protezione vaccinale. Evenienza rara, ma possibile. Stesso rischio per il quale ci sembra legittimo porsi il problema di quantizzare rischi e benefici. Molti si sono spaventati al solo a sentire che le valutazioni di EMA e AIFA sono dettate da ragionamenti ispirati appunto alla logica “costi-benefici” (logica di tipo economica), o meglio “rischi-benefici” (logica di tipo clinico), più consona ad una sperimentazione clinica. Qualcuno ha addirittura sospettato che tali affermazioni sono state utilizzate al solo scopo di giustificare qualche evento avverso segnalato, che ha imperversato per giorni e giorni sui giornali di tutto il mondo e nei martellanti notiziari televisivi. Era prevedibile che tali sospetti potessero scatenare paura e indurre molti a rifiutare solo il vaccino incriminato, considerato pericoloso, senza sapere che gli stessi eventi possono verificarsi con tutti i vaccini utilizzati, anche più gravi, e che qualunque altro farmaco utilizzato implica sempre possibili rischi, sia pur in rari o rarissimi casi. Non si è trattato quindi di una strategia dettata dall’esigenza di non bloccare il prosieguo della vaccinazione di massa. Ma dell’uso inappropriato di un linguaggio specialistico proprio della ricerca scientifica e farmacologica in particolare, noto a chiunque si occupi di ricerca. A questo linguaggio si è aggiunta una campagna scellerata della stampa e dei Media che, con isterica veemenza e senza mai spiegare fino in fondo quello che si apprestavano a scrivere, hanno solo innescato un improvviso blocco della campagna vaccinale in corso e determinato la sospensione provvisoria del vaccino. Hanno indotto un diffuso terrore e una colpevole sospensione del percorso di immunizzazione che doveva, invece, accelerare per poter precedere il diffondersi di nuove e più aggressive varianti del virus, in grado di far risalire il picco del contagio. Il ragionamento fondato sulla valutazione attenta dei rischi rapportandoli ai possibili benefici è un ragionamento valido da applicare a tutti i farmaci, persino quelli più comuni, dalle aspirine agli antidolorifici agli antipiretici che, bisognerebbe ricordare, somministriamo anche ai nostri bambini, senza contare che di questi farmaci facciamo noi stessi quotidianamente largo uso. Pochi sanno che potrebbero anche provocare qualche raro effetto collaterale, anche più grave di quelli paventati per un vaccino di cui abbiamo tanta paura. Ma li utilizziamo perché ci fidiamo degli Enti di Farmacovigilanza e delle loro valutazioni su grandi numeri. Eppure, basterebbe leggere quei misteriosi “bugiardini”, contenuti nelle confezioni e messi lì proprio per informare i consumatori finali dei più rari eventi avversi riscontrati nella sperimentazione umana di quel farmaco che stiamo utilizzando o per le segnalazioni dei medici nel lungo periodo. Tant’è che molti medici di base, spesso, ammoniscono i propri pazienti dicendo loro che quei foglietti sono rivolti ai medici e che non bisognerebbe nemmeno leggerli, soprattutto se particolarmente timorosi, ipocondriaci o generalmente influenzabili. La verità è che tali informazioni sono spesso fuorvianti e bypassano l’esigenza di fare scarso uso di
farmaci in genere ma, mal utilizzate in questo modo, ottengono il solo scopo di dilatare i rischi e ridurre i benefici, per tutti. Questa pandemia si combatte anche sul fronte di una corretta e onesta diffusione delle informazioni. Anche quelle scientifiche che dovrebbero essere trasmesse con maggiore completezza, responsabilità e in forme semplici sempre comprensibili da tutti.

*psichiatra e pubblicista

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