Bambole gender fluid, ce n’è davvero bisogno?

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di Vincenzo Benvenuto

Tanto tuonò che piovve: una nota azienda di giochi ha immesso sul mercato la prima bambola «gender fluid». Si tratta, in sostanza, di una bambola asessuata, con un kit di accessori che si prestano a farla diventare sia maschio che femmina, a seconda delle inclinazioni del bambino o della bambina che ci gioca.

Senza scartare l’eventualità che la bambola in questione, novello centauro, possa assumere insieme fattezze dell’uno e dell’altro sesso; qualcosa, per intenderci, del tipo tette da pin-up e baffi da masnadiero messicano. Capisco che raccontata così la cosa, questa bambola apparirebbe un tentativo estremo e provocatorio di mettere in crisi definitivamente il confine maschio/femmina.

E invece mi preme precisare che predetta bambola è stata creata con il supporto di insigni esperti in collaborazione con genitori ed educatori. Il tutto, manco a dirlo, nel nome del «politically correct» più spinto oltreché con l’intento sbandierato ai quattro venti di lasciare piena libertà alla creatività dei bambini. Ebbene, quest’operazione (dal mio punto di vista, soprattutto commerciale) non mi convince. E non perché sia uno strenuo difensore del genere binario o un acerrimo nemico della cosiddetta «fluidità». La mia diffidenza nasce dalla consapevolezza che prima ancora delle esigenze di marketing, ci sono quasi cento anni di psicologia dell’età evolutiva che riservano la scelta della sessualità a un’età più adulta. Per essere più chiari, non si dovrebbe suggerire la possibilità di una sessualità «altra» a esseri umani ancora in formazione.

Anche perché la categoria dell’indistinto è già un correlato indefettibile dell’infanzia senza, quindi, alcun bisogno di imbeccate che potrebbero solo ingenerare confusione e fraintendimenti. D’altra parte, se penso alla mia infanzia, ricordo che una volta, affascinato dai lunghi e setosi capelli di Barbie, volli impossessarmene. E così quando la mia cuginetta lasciò inavvertitamente incustodita la sua bambola, con la velocità della luce mi armai di una forbice e…zac: lo scalpo lucente di Barbie era finalmente nelle mie mani. Dopodiché, trovato da qualche parte un tubetto di colla, passai all’ammodernamento del mio Ken: gli cosparsi il capo di mastice e gli azzeccai una lunga zazzera biondo-platino. Il Ken di mia proprietà, per il me bambino di una volta, diventò di un fashion tremendo. Quest’aneddoto per dire che non c’è stato bisogno di una bambola «gender fluid» per invogliarmi a sperimentare contaminazioni sia pure limitate, nel mio caso, al solo bulbo pilifero.

L’indistinzione, infatti, è una fase correlata all’infanzia che solo nell’età adulta sfocerà in scelte più o meno definite, in un senso o nell’altro. In conclusione, penso che questa bambola «fluida» con tutto il suo kit di accessori vari, oltre a non essere di alcuna utilità alla crescita libera dei nostri figli, rischia di forzare un processo evolutivo che può giungere a maturazione solo in un momento successivo. Durante l’infanzia, i bambini devono crescere liberi di sperimentare, senza alcun elemento terzo in grado di ingenerare una sterile confusione.

C’è un’età per giocare e un’altra per scegliere. E che quella del gioco libero e spensierato duri il più a lungo possibile.

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