Conte si prende la responsabilità: «Senza coraggio, lo faccio io».

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di Marta Naddei

«Se c’è mancanza di coraggio, allora mi prendo io la responsabilità davanti al paese che ci guarda. Adesso vado dal Presidente della Repubblica». Così il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha chiuso la giornata di martedì scorso, quella che, di fatto, ha chiuso l’esperienza di governo targata Movimento Cinque Stelle e Lega.

Una giornata lunga, lunghissima, iniziata alle 15 con il discorso del premier nell’aula del Senato, con l’annuncio delle dimissioni e, di fatto, della fine del contratto gialloverde.
Una pesante accusa – a 360 gradi – all’operato di Matteo Salvini, ministro dell’interno che ha presentato – insieme alla sua Lega – la mozione di sfiducia in danno proprio di Giuseppe Conte. Quest’ultimo, probabilmente tardivamente, in maniera dura e decisa ha rimproverato al suo vicepremier il suo operato e le decisioni delle ultime settimane, improntate, ancor di più, a una personalizzazione estrema. Una vera e propria escalation di “salvinizzazione” degli argomenti di discussione e dell’attività dell’esecutivo che ha indotto Conte, in modo non proprio tempestivo (non fosse altro che proprio il premier ha avallato alcune iniziative promosse dallo stesso Salvini, leggasi decreto sicurezza bis o provvedimento sul Tav), a riprendere le redini del Governo, soprattutto alla luce della volontà – poi ritrattata dallo stesso Matteo Salvini – di staccare la spina all’esecutivo dopo appena 14 mesi, aprendo la crisi di Governo per “capitalizzare il consenso elettorale”.

Un discorso, quello di Giuseppe Conte, al quale sono seguite le repliche dello stesso Salvini che, in pieno spirito da campagna elettorale, ha tenuto la sua “arringa” a Palazzo Madama. Intervento incentrato sugli argomenti tipicamente “salviniani”: dall’immigrazione al mantra “prima gli italiani”, che hanno raccolto consensi principalmente tra i banchi dei suoi.

Di Matteo in Matteo: è stata, poi, la volta di Renzi. Nel corso del suo intervento, l’ex premier ed ex segretario del Partito democratico, non ha risparmiato né elogi all’operato del suo Governo né, ovviamente, critiche a quello dell’esecutivo (ancora) attuale, riaccendendo, in tal modo, lo scontro con l’altro Matteo. Una sfida che, però, non ha convinto pienamente buona parte dello stesso Pd.

Una giornata, quella dello scorso 20 agosto, che ha visto anche la Lega ritirare l’ormai famigerata mozione di sfiducia a Conte, con una nuova apertura – già millantata da Salvini durante il suo intervento in aula – al Movimento 5 Stelle: «Una scelta di coerenza con l’apertura fatta in Aula da Matteo Salvini» – avevano spiegato alcune fonti leghiste all’Agi – «Se tieni una porta aperta non puoi tenere la sfiducia. La mozione, d’altronde, era stata presentata per parlamentarizzare la crisi. E le comunicazioni di Conte e il suo annuncio di dimissioni l’hanno resa non più necessaria».
L’ultimo respiro del Governo gialloverde è stato esalato poco dopo le venti: nelle sue brevi conclusioni, Giuseppe Conte ha ribadito la volontà di dimettersi, indicando in Salvini il promotore della crisi ma sottolineando, al contempo, che «se c’è mancanza di coraggio, allora mi prendo io la responsabilità davanti al paese che ci guarda. Adesso vado dal Presidente della Repubblica».

Poco dopo le 20.30, il premier è giunto al Quirinale per incontrare Sergio Mattarella. Così è iniziata una delle settimane più lunghe per l’Italia, tra accuse, tentativi di riconciliazione e nuove prove di alleanze per riuscire a tenere a galla il Paese.

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