di Pippo Della Corte
Senza zucchero, senza lattosio, senza glutine, senza olio di palma, senza grassi, senza conservanti e coloranti, senza polifosfati e senza solfiti. Sono solo alcune delle definizioni che da non molti anni a questa parte compaiono in bella mostra sulle etichette dei più disparati prodotti alimentari. Gli scaffali di salumerie e supermercati ne sono zeppi. E’ ormai commercialmente radicata l’idea che i consumatori sono attratti dai cibi e dalle bevande prive di qualche “pericoloso” ingrediente capace di incidere negativamente sul benessere e sulla forma fisica.
Accurati studi di marketing hanno indotto quasi tutte le industrie produttrici ad adeguarsi a questa tendenza che ha generato un grande business. Insomma, il ‘senza’ fa gola e aiuta a vendere. Lo sanno bene coloro che si sono adeguati al nuovo corso commerciale capace di affascinare anche quella parte di cittadini privi di allergie o fastidi alimentari che però preferiscono acquistare comunque cibi e bevande privi di qualcosa.
E’ l’altro volto del consumismo dell’ultimo ventennio che, per sopravvivere a se stesso, è alla continua ricerca di novità gastronomiche da piazzare sul mercato. Certo, va anche sottolineato come siano aumentate le intolleranze alimentari che nei fatti hanno aperto la strada alla vendita di tantissimi prodotti prima assolutamente non richiesti. L’esplosione di abitudini alimentari un tempo inesistenti fa da cornice al vivere quotidiano: i dati che vengono diffusi raccontano di una crescita a doppia cifra dei prodotti ‘senza’ sebbene in molti casi si tratti di una estremizzazione che, però, ha spinto verso l’alto specifici consumi aprendo frontiere commerciali inesplorate, perché sconosciute.
Chi ha colto l’opportunità del momento sta facendo affari d’oro grazie alla più o meno consapevole scelta degli acquirenti che tendono a comprare prodotti apparentemente salutari in quanto privi di sostanze ritenute dannose. Ovviamente un importantissimo ruolo in tal senso è svolto dagli organi d’informazione a partire dalla televisione i cui spot pubblicitari spingono verso questo tipo di beni ormai divenuti costante presenza all’interno di frigoriferi e credenze. I tempi cambiano e ad imporsi è il cosiddetto cibo ‘free’ ovvero privo di qualcosa che ha sedotto milioni di cittadini sempre più conquistati da questa moda che in molti casi è divenuta giornaliera scelta alimentare. Le abbuffate, le goliardiche e conviviali cene a base di pasta e fagioli, affettati, formaggi e tanto vino sembrano sbiadire in presenza di un presunto salutismo che va diffondendosi in maniera rapida e che appare formula vincente negli attuali scenari culinari del Belpaese.
“Non bisogna preoccuparsi di ciò che si mangia, ma con chi si mangia”, è proprio in casi del genere che torna alla mente il famoso detto di Epicuro: giusta considerazione in una società che, invece, insegue gli usi del momento più che il piacere della tavola prezioso ingrediente contro il logorio della vita moderna.