L’Airone al Giro della Campania tra amore, industria e successi

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di Matteo Maiorano

«Vidi Coppi per la prima volta nel 1956, all’età di 16 anni. E da lì la mia vita è cambiata». La storia di Vittorio De Martino, ciclista professionista degli anni ’50, è di quelle che riallacciano ricordi e sensazioni lunghi settant’anni. E che non smettono mai di emozionare. In quegli anni l’Italia si girava su e giù in sella ad una bici e la carta stampata seguiva un’unica e sola direttiva: il ciclismo.

Protagonista del movimento e idolo indiscusso dello sport era Fausto Coppi, il quale scavò un vuoto tra sé e il resto del mondo. A cento anni dalla nascita del Campionissimo, come venne successivamente ribattezzato il talento di Castellania, lo sport a due ruote è stato soppiantato in parte dal calcio e da altri sport collettivi.

Ma di questi guai a parlarne: «Ho un nipote che gioca in serie D. Quando firmò storsi il naso. Per me, dopo Coppi il nulla». Vittorio De Martino fu inizialmente tesserato presso l’As Montoro, società nata per iniziativa di Francesco Almirante, il commendatore Trucillo e la famiglia Vietri, la quale ereditò lo storico pastificio irpino.

«Ho iniziato nel 1956, vincendo quasi subito diversi titoli regionali a Casoria e Caivano. Quell’anno incontrai Coppi in via Caracciolo, a Napoli. Era in programma una tappa importante e con il campione stavamo mangiando presso un noto ristorante partenopeo. Già allora era inavvicinabile: ebbi l’onore di fare con lui una foto, ma mai mi sarei aspettato quello che successe l’anno seguente».

E’ a quel punto che la storia dell’Airone si lega indissolubilmente con quella di De Martino: «Nel 1957 Coppi venne a Salerno per correre una tappa del Giro della Campania. La forte amicizia con i fratelli Vietri lo portava spesso a Montoro. L’allora direttore sportivo del team mi comunicò che di lì a qualche giorno l’Airone sarebbe arrivano in città. Tra le tappe principali vi erano Salerno, Vietri e Agerola».

Con Coppi un gran numero di sportivi, che componevano una squadra fantastica: De Filippis, Coletto, Carrea. «Al termine di una difficoltosa salita del comune di Agerola, chiamò me tra gli altri ciclisti, forte di una prestazione importante. Era aprile, mese generalmente ostile per noi sportivi. Avevo diciassette anni ma gambe e testa da veterano: «Vai piano, guarda che siamo in aprile. Di questo passo sarà difficile tenerti testa». Fu quasi una benedizione: «Da quel giorno ottenni notevoli successi. Le sue parole mi bloccarono, la sua voce mi emozionò. Stavamo per coprirci con della carta di giornale trovata lungo il tragitto, che avremmo messo sotto la tuta per ripararci dal freddo che imperversava nella lunga discesa».

Fu poi a Montoro che il Campionissimo conobbe Giulia Occhini, rinominata Dama Bianca per le sue vesti: «Coppi faceva spesso tappa a Montoro per via della grande amicizia che correva tra lui e i fratelli Vietri. La Dama Bianca era solita andare a Montoro poiché la madre lavorava come ostetrica nel comune irpino». Tramite tra Coppi e la Occhini fu Locatelli, marito della donna appassionato di ciclismo. «La prima volta che apparvero insieme al grande pubblico fu in occasione del campionato mondiale di Lugano, vinto dallo spesso Coppi. Salirono sul palco insieme, lei vestita con una pelliccia bianca».

Oggi De Martino all’alba corre ancora come 50 anni fa, ripensando alle parole dell’Airone: «La mattina faccio 40 minuti di ginnastica, poi con la bici faccio una cinquantina di chilometri. La sua figura fu determinante. Allora il ciclismo era lo sport nazionale, al pari di ippica, scherma e pugilato. Oggi il calcio lo detesto, nonostante mio nipote, (Giuseppe Moffa, NdR) giochi a calcio nel San Tommaso. Sono contento per lui e la strada che ha intrapreso, ma io sono amante degli sport individuali. Il calcio è fotocopia del clero. Ogni paese ha il proprio campo, ormai i ragazzi sembra che abbiano già la strada segnata».

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