Ottavio Bianchi: «La Salernitana merita la serie A»

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di Matteo Maiorano

«Salerno? Una piazza che potrebbe stare permanentemente in A». Il pensiero è quello di Ottavio Bianchi, tecnico che ha portato a Napoli il primo tricolore della sua storia.  La torcida granata ha numeri da massimo campionato per l’ex allenatore azzurro. Un anno fa a Bianchi è stata concessa la cittadinanza onoraria di Vietri sul Mare: il borgo costiero, per il tecnico, rappresenta un rifugio di vita, con il quale ha un rapporto particolarissimo.

1987: anno particolare per una città particolare…

«Fu una stagione sui generis. Basti pensare che a Napoli non si era mai vinto a livello nazionale alcun tipo di trofeo. E’ stato un anno particolare: si è creato un mix di situazioni sportive, sociali e caratteriali: l’entusiasmo della gente era tangibile, non solo in ambito sportivo. Una somma di fattori di un’attesa spasmodica. Ho vissuto Napoli da calciatore, la conosco sia sotto il profilo professionale che umano. Pur non parlando napoletano, gli usi, i costumi e la mentalità napoletana sono ormai parte della mia cultura. A Napoli si creano subito facili entusiasmi e con la stessa velocità si hanno degli scoramenti. Si vivono stati d’animo contrastanti nel giro di una settimana: questo era ed è il nemico principale per ottenere i risultati. Non puoi permetterti sbalzi d’umore».

Perché quello scudetto è rimasto un successo isolato?

«Le vittorie non nascono per caso, specialmente nel mondo dello sport. Ci vuole un lavoro di tipo piramidale. La Juventus stravince da tanti anni perché è l’unica società di livello europeo. Al sud abbiamo una miriade di problematiche: stadi da rifare, società che cambiano da un momento all’altro, non c’è una programmazione di lavoro sui vivai. Conosco molto bene Salerno, non è una piazza di secondo piano, potrebbe benissimo stazionare permanentemente in serie A, invece la sua storia parla chiaro. A Bergamo da ormai decenni si raggiungono risultati incredibili. Dove c’è programmazione, come all’Atalanta, c’è futuro: lì non ci sono mai stati voli pindarici. Al sud ci sono tante città di primo piano, come Bari e Salerno, che hanno alti e bassi notevoli ma possono contare su un grande bacino d’utenza». 

Capitolo nazionale: i vertici federali sono cambiati ma il calcio italiano, anche dopo l’arrivo di Ronaldo, sembra sia rimasto indietro rispetto ai corrispettivi tornei continentali. Quasi ad affermare una verità gattopardiana: tutto cambi affinché nulla cambi…

«Italia-Svezia è stato l’epilogo di un ciclo nero partito dai mondiali sudafricani. Il nostro calcio non ha meritato di partecipare alla rassegna mondiale: stadi obsoleti, mancanza di vivai, ricca di stranieri non all’altezza, campionati a 20 squadre dove non c’è qualità. Negli ultimi anni la forbice tra prime ed ultime si è irrimediabilmente allargata: due squadre lottano per lo scudetto, tre club sembrano già condannati alla retrocessione a settembre. L’organizzazione federale è sempre la stessa: si dovrebbe cambiare tutto dal vertice con idee chiare e lavoro di profondità».

La cittadinanza vietrese ricevuta lo scorso anno è stata per lei motivo d’orgoglio.

«Il comune costiero rappresenta la mia oasi felice, il mio rifugio da sempre. Lì ho amicizie che vanno al di là dello sport. Quando penso al concetto di amicizia e lealtà ripenso sempre ai rapporti che ho allacciato con gli abitanti del borgo».

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