Uva di San Matteo, «recuperiamo pagina importante della nostra storia»

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di Giovanna Naddeo

Recuperare l’uva Sanginella vuole dire salvaguardare le tradizioni salernitane e valorizzare la biodiversità del territorio. Ne è fermamente convito il vicedirettore di “Coldiretti Salerno”, Enzo Galdi, che in passato si è reso promotore del ripristino di alcuni vitigni autoctoni sulle colline salernitane.

«Agli inizi del Novecento, l’uva di San Matteo era la vera protagonista della festività, di più era la regina, e non soltanto delle mense salernitane» – racconta Galdi. «I negozi di alimentari del centro cittadino addobbavano le loro vetrine con grappoli ricchi e succosi e ogni anno, puntualmente, l’amministrazione comunale premiava il miglior allestimento. Quest’uva proveniva per lo più dalla zona collinare della città. Anche mio padre Alfredo, appassionato viticoltore, possedeva un terreno in località Casa Leone, ad Ogliara». Ed è proprio da Ogliara che, nel 2004, parte il progetto di recupero di quest’antica quanto fragile varietà.

«Insieme a Maurizio Prisco, figlio di Aniello, caro amico di mio padre anch’egli ogliarese, decidemmo di impegnarci nella produzione di un vino passito, in collaborazione con il dipartimento di scienze agrarie dell’Unina, la Regione Campania e l’Ispettorato Agrario. Sono stati condotti diversi studi ed esperimenti in merito al suo imbottigliamento, eppure il miglior utilizzo resta quello da tavola. Nel settembre 2005, in collaborazione con Comune e Provincia di Salerno, presentammo i risultati dello studio in un’interessante giornata dedicata esclusivamente alla Sanginella, con tanto di degustazioni e passeggiata in vigna». Eppure resto alto l’allarme Sanginella nel salernitano. «E’ una varietà sempre meno presente nei vecchi vigneti sulle colline alle spalle di Salerno. Un’importante pagina della storia salernitana che rischia di essere cancellata. Non dobbiamo permetterlo».

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