Arechi Rugby in campo per il sociale

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di Matteo Maiorano

Sociale, aggregazione e giovani. Questa la ricetta vincente per Roberto Manzo. Per il patron dell’asd Arechi Rugby le vittorie sul campo passano in secondo piano. Il sodalizio salernitano, sorto nel 2012, ha come proprio obiettivo quella di far interagire i ragazzi e formare una nuova classe di rugbisti salernitani. I veri risultati, infatti, sono quelli che si ottengono oltre il rettangolo di gioco.

Lo sport è importante per la formazione delle nuove generazioni…

«Il ruolo del rugby è fondamentale per una società come quella attuale che, a prescindere dal contesto cittadino o provinciale di Salerno, ci permette ad arrivare ad un discorso totalmente diverso. Parlo di elevazione di quelle che sono le regole non scritte della disciplina: inclusione, aggregazione, voglia di esprimersi non soltanto a livello ludico ma ricreativo, che permetta ai bambini di vivere un momento di pura aggregazione con lo sport di squadra per eccellenza. L’Arechi Rugby ha come obiettivo il far integrare il maggior numero di bambini. Parliamo di un rugby che punta all’inclusione, rivolto ai più piccoli, che può creare gli stimoli giusti per unire sport ed aggregazione, che fa nascere legami importanti anche all’interno delle famiglie».

Partire dai bambini per creare una classe di rugbisti salernitani…
«Vogliamo dare un segnale alla società per formare dei nuovi giocatori ma soprattutto per formare uomini. Per fare ciò bisogna partire dai bambini. A questo proposito abbiamo messo in campo tante iniziative nel corso degli anni».

In tale contesto che ruolo può e deve avere la scuola?

«La didattica è fondamentale: per realizzare i nostri intenti, abbiamo iniziato proprio dagli istituti. “Piazze del rugby,” sorto nel 2013, è uno dei progetti che ci ha maggiormente avvicinato all’ambito scolastico. Vi è stata una partecipazione massiccia nel corso degli anni: 5000 bambini delle scuole elementari e medie hanno toccato con mano cosa significa fare rugby e hanno capito quanto sia importante la disciplina all’interno di un più ampio tema, che è quello della comunità sociale».

Ci sono state collaborazioni con altre società rugbistiche?

«”Facciamo Breccia” lo abbiamo realizzato con il Sacro Cuore di Pompei e il Rugby Perugia. Sostanzialmente, l’iniziativa nasce dall’associazione “Breccia nel muro”, che si occupa di bambini meno fortunati ed è partita perché non si poteva fare da nessun altra parte. Includiamo i bambini affetti da varie patologie, facendogli fare prima un percorso propedeutico per lo sviluppo delle attività motorie; sono bambini che hanno difficoltà a relazionarsi. Hanno una percezione diversa delle cose. Si parte da un processo motorio fino ad arrivare al gioco vero e proprio. I genitori hanno notato un miglioramento netto nei propri figli, non solo nel gioco ma soprattutto nel sociale e nelle attività motorie. C’erano bambini anche normodotati che avevano diverse difficoltà. Sono state decine i piccoli interessati, provenienti da diverse realtà. Lo spazio ludico è la mini palestra dell’associazione che è collegato ad un istituto paritario sito in via Picentia. Questo per non far allontanare troppo i bambini dalla scuola. Uno di questi bambini ha partecipato anche a delle gare ufficiali con la prima squadra, dandoci grosse soddisfazioni. Abbiamo vinto il premio responsabilità sociale della Federazione Italiana Rugby».

Gli ospedali sono i luoghi dove c’è maggiore necessità di fare sociale…
«Un altro progetto di cui andiamo fieri è quello che ci vede protagonisti all’interno dei reparti di oncologia pediatrica, chirurgia pediatrica e pediatria del “Ruggi”. Abbiamo provveduto a portare doni ai ragazzi del nosocomio. Lo facciamo durante il periodo natalizio, un modo per stargli vicino con un piccolo gesto».

Progetti per il futuro?

«Stiamo iniziando un progetto di inclusione per bambini speciali non più all’interno di un’associazione dedicata a questo tipo di situazioni ma all’interno di una scuola elementare, il circolo didattico “Medaglie d’oro” con particolare riferimento al plesso Giacomo Costa. Crediamo che lo sport aiuti tantissimo a questo proposito. I docenti di sostegno hanno affermato che, dopo anni di inattività, i bambini avevano ripreso l’attività motoria grazie all’interazione diretta con Vittorio Cicalese, responsabile dei progetti scuola, e con Silvia Gaudino, dirigente tecnica della società. I docenti hanno capito che c’era possibilità di divertirsi e far fare attività a ragazzi. Un’iniziativa che non si ferma all’ora di educazione motoria ma si estende soprattutto in ambito extracurricolare il pomeriggio».

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