Gallera

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di Walter Di Munzio

Dopo tante clamorose gaffes, alcune francamente ridicole, l’assessore lombardo Gallera pare proprio arrivato al capolinea. Dovrebbe ora lasciare, con ignomia, lo scranno di assessore regionale al Welfare e pare proprio si sia bruciata definitivamente la possibilità di una candidatura a sindaco di Milano, sinora molto accreditata negli ambienti del centro destra. La sua parabola discendente si compie proprio quando è stato scaricato anche da Salvini che, ha affermato su MilanoToday “Stiamo lavorando per offrire ai lombardi un anno migliore” intendendo … quindi senza Gallera. Colpevole, tra l’altro, dei gravi ritardi nella campagna vaccinale. La sua gestione della pandemia è stata fallimentare, come altrettanto fallimentare la gestione del presidente Fontana, che è stato sempre uno dei suoi maggiori estimatori e che si ritrova nella condizione di non poterlo ulteriormente difendere, per non essere coinvolto nella sua precipitosa caduta, ora appare consapevole che dovrebbe prenderne le distanze. Le infelici dichiarazioni sulle ferie da consumare da parte del personale, in piena emergenza sanitaria e di fronte ad una campagna vaccinale da accelerare per evitare la temutissima terza ondata. Contro ogni indicazione ministeriale, che ha puntualmente snobbato, invece di implementare il ritmo, lo ha di fatto stoppato con la infelice uscita sulla disponibilità degli infermieri vaccinatori, come se la sua regione vivesse una tranquilla routine. L’assessore ha candidamente dichiarato “non richiamo i medici dalle ferie per fare i vaccini” e ancora “trovo agghiacciante la classifica di chi ha vaccinato più persone”. Sembra proprio non essere consapevole che siamo in un momento in cui ogni giorno di ritardo può comportare, nel triste bollettino della Protezione civile, tanti e tanti morti in più e difficoltà aggiuntive nel far partire a regime la immunizzazione del maggior numero possibile di persone. Ricordo solo che appena qualche giorno addietro, quando il Governo annunciava il piano di distribuzione alle regioni del vaccino, Gallera era protagonista con il suo presidente di una veemente protesta per il basso numero di vaccini, a loro dire, assegnati rispetto ad altre regioni, anche se i vaccini erano proporzionati agli abitanti e riuscì a strappare un ancor più alto numero di vaccini. Ebbene in data 6 gennaio l’AIFA ha aggiornato i dati sulle percentuali di vaccini già somministrati a partire dal 31 dicembre scorso, data di avvio ufficiale della campagna vaccinale. Da quei dati risulta chiaramente l’inefficienza della sua regione che ha somministrato solo il 21.6% della dotazione vaccinale disponibile contro il 77,9% del Lazio e il 70% della Campania che hanno impegnato tutto il personale disponibile e avviato, nei limiti del possibile, il reclutamento ad hoc di risorse aggiuntive, senza ricorrere ai privati.

Ma a dimostrazione della sua persistente attitudine alle gaffes ricordiamo quelle che lo hanno portato ai vertici della popolarità per incapacità gestionale. Ricordo solo la sua celeberrima spiegazione della capacità del virus di infettare quando in piena crisi affermava con l’ingenuo intento di spiegare l’andamento dell’epidemia che “per infettarmi ora servono due infetti nello stesso momento”. Questa affermazione, fatta in una diretta televisiva, voleva rendere, a suo dire, un concetto tecnico più comprensibile. Aveva commesso un errore grossolano. “Per infettare lui, bisogna trovare due persone nello stesso momento infette perché l’indice Rt è a 0,50 no?”. Certamente qualcuno poi avrà tentato di spiegargli che non è così che si calcola la diffusione dell’epidemia. E poi quella ancor più infelice affermazione sulla rete della ospedalità privata. Ha detto testualmente “gli ospedali privati vanno ringraziati perché hanno aperto le loro terapie intensive e le loro stanze lussuose ai pazienti ordinari”. Affermazione fatta senza pudore non solo per i ricchi ristori offerti, quanto per l’innegabile osservazione che per decenni di bilanci regionali erano stati più che generosi a favore della sanità privata e speculativa e dopo avere chiuso un ricco accordo che concedeva a questa rete di ospedalità risorse aggiuntive per le prestazioni richieste. Ciò in contrasto con il mancato riconoscimento dell’enorme sforzo che contemporaneamente produceva il personale ospedaliero del SSR, costretto a lavorare per arginare la marea di casi regolarmente snobbata dai privati che provvedevano a dirottarli puntualmente verso i pronti soccorsi del SSR ormai collassati. Dire che la sanità privata lombarda “andava ringraziata”, dopo anni di bilanci all’ingrasso, e soprattutto dopo la clamorosa condanna del precedente presidente Formigoni, proprio per i suoi rapporti con la sanità privata, è quantomeno ardito. Ovviamente anche in quella occasione, Gallera fu inondato da critiche. Stavolta non solo dall’opposizione ma anche dall’interno della sua stessa maggioranza.

Le parole shock di Gallera sono state ora solo la firma su un modello lombardo che ha mostrato tutte le sue debolezze con la lotta al coronavirus. Scaricarlo, per Attilio Fontana, significherebbe ammettere anche le proprie colpe e riconoscere che molte cose non sono andate come previsto. I responsabili sono tanti e sarebbe ora di provvedere ad un sano ricambio all’interno della catena di comando regionale per recuperare i tanti ritardi e le inefficienze dimostrate sinora.

Poi c’è l’enorme capitolo dell’ospedale in FieraMilanoCity, voluto e strenuamente difeso da Gallera e orgoglio del presidente Fontana quale simbolo della nota, a loro dire, superiorità e capacità organizzativa di quella regione. Era stata soprannominato l’astronave. Era costato 26 milioni di euro, finanziati con donazioni private, ma non ha mai ospitato i 500 pazienti ipotizzati. Né nella devastante prima ondata, neanche quando per carenza di posti letto in rianimazione si trasferivano i pazienti in altre regioni e persino negli ospedali tedeschi. Non né stato utilizzato nemmeno nella seconda ondata, quando non valeva più la giustificazione, sempre utilizzata, che la capacità di risposta del sistema curante di quella regione era stata frenata dalla estrema violenza della infezione che aveva investito quella regione. E senza chiedersi le reali motivazioni di quell’abnorme investimento epidemico. Quei soldi secondo avrebbero potuto rafforzare da subito le terapie già esistenti e la rete della medicina di prossimità. Il grosso problema della “cattedrale del deserto” è stato principalmente quello della mancanza di personale.

La coperta era corta e bisognava da subito avviare una seria campagna di reclutamento nel servizio pubblico come avevano già fatto in altre parti d’Italia e cominciare a pensare una riforma regionale che in Lombardia come nel resto del paese riuscisse a superare le distorsioni di un regionalismo che deve barcamenarsi tra troppi sistemi diversi di concepire l’assistenza. E’ questa la sfida da non fallire in questi mesi che verranno.

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