Greta, i gretini e i cretini

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di Alessandro Rizzo

Avevo detto che sarei tornato sull’argomento e questo evidentemente perché il tema, divenuto ormai centrale, viene affrontato in maniera non solo parziale, ma soprattutto partigiana. Immediatamente il mondo dei “social” si è diviso in pro-Greta e in contro-Greta. Analizziamo le due identità ma cerchiamo soprattutto di capire chi è Greta, anzi cos’è Greta e cosa deve essere.

Greta è un fenomeno, su questo non c’è dubbio. Potrà essere strumentalizzata, utilizzata, manipolata, ma è un fenomeno. Tutti parlano di lei, chi nel bene, chi nel male, ma tutti ne parlano.

Ma Greta è anche un simbolo, quello della lotta all’inquinamento, che ha l’indiscutibile merito di aver risvegliato le coscienze di mezzo mondo.

Non c’è dubbio che sia anche un simbolo voluto da altri, da adulti, che dalle spalle ne governano movimenti, espressioni. Eppure, in tutta franchezza, ne vorrei vedere di più io di sedicenni in grado di esprimersi con la sua padronanza, la sua lucidità, la sua preparazione e il suo multilinguismo. Invece attorno a me è un florilegio di “bell’a zì, cioè, spacca oh zio!”.

I “gretini” sono quelli che vedono solo il bello in quel che Greta rappresenta. Certo, non è tutto esente da vizi, non si tratta di un messaggio del tutto perfetto. Non c’è perfezione in una campagna pro-ambiente fatta unicamente di denuncia e non anche di ricerca delle soluzioni.

Poi ci sono i cretini. Quelli che, poiché Greta è strumentalizzata, non va considerata, non va seguita, anzi va boicottata ad ogni costo.

Come sempre la virtù è nel mezzo. Come dicevo la scorsa settimana, manca la cultura della tutela dell’ambiente perché a noi manca la cultura della sopravvivenza. Per comprendere appieno il senso di quanto sto affrontando voglio usare un’espressione che usai una decina d’anni fa quando da Sindaco portai a compimento un progetto di smaltimento di decine di microdiscariche di eternit ed amianto a San Mango e ebbi modo di affermare che la terra non l’abbiamo ricevuta in eredità dai nostri padri, ma l’abbiamo presa in prestito dai nostri figli. Ai quali dovremmo restituirla in condizioni migliori di quando l’abbiamo ricevuta. Ecco, i nostri padri non l’hanno purtroppo pensata così. Basti pensare che il livello di inquinamento da polveri sottili era negli anni ’70 e ’80 molto maggiore di adesso. Vi ricordate la famosa foto di San Francisco di una quarantina di anni fa coperta da una coltre di polveri sottili che oscurava la città? Questo accadeva quando il boom economico, che seguiva alle industrializzazioni degli anni ’50, iniziò a ridurre il Mondo a quel che è oggi. Ne abbiamo acquisito coscienza col tempo, stiamo provando a migliorare da un po’, ma prima abbiamo sfruttato l’ambiente in maniera scellerata senza renderci conto di quanto tutto ciò ci sarebbe costato.

Adesso vorremmo imporre le nostre restrizioni anche agli Stati che il boom all’epoca non l’hanno avuto e che magari lo stanno avendo adesso. Loro pensano “avete sfruttato il pianeta senza fregarvene, ora vorreste imporre a noi delle regole?”. Non è un caso che ci siano Paesi che preferiscono disertare i summit sul clima, piuttosto che andarci a farsi redarguire da chi alcuni anni fa faceva anche peggio. Un summit del genere avrà sempre la spada spuntata finché non sarà in grado di introdurre meccanismi coercitivi di protezione dell’Amazzonia o, in alternativa, di partecipazione anche finanziaria alla salvaguardia di un polmone naturale che, come tutti affermano, serve il Mondo intero. Insomma, se le foreste servono a tutti, tutti dovremmo poter decidere ma tutti dovremmo concorrere al loro mantenimento.

Questa divergenza dovrebbe farci capire che il problema dell’ambiente non si risolverà finché non avremo iniziato a parlare tutti la stessa lingua. Un esempio su tutti: uno studio di Mikael Skou Andersen del Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università di Aarhus dimostra che l’aumento dell’inquinamento dell’aria da particolato da 10 microgrammi per m3 riduce l’aspettativa di vita da 9 a 11 anni, ma il costo economico di questo inquinamento differisce fortemente tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea a causa dei metodi di calcolo utilizzati. Andersen afferma «la letteratura esistente è ambigua e ci sono differenze negli approcci adottati nell’ Ue e negli Usa su come contabilizzare tali costi. Le persone sono disposte a pagare un prezzo per ridurre i rischi di morire prematuramente, a patto di avere una comprensione delle implicazioni e delle grandezze di tali rischi».

Denaro dunque. E perché no? L’idea liberale sul punto merita un approfondimento. Il concetto che dovremmo cavalcare è molto semplice: non è affatto vero che per salvare l’ambiente dovremmo bloccare il progresso. Anzi, al contrario! Chi ci vorrebbe rispediti indietro nel medioevo non dovrebbe avere diritto di parola. Forse solo il progresso può salvarci. È stata l’introduzione di metodi di riduzione delle polveri sottili nelle automobili che ne ha abbattuto drasticamente il quantitativo nelle città. Una volta si viaggiava a benzina “normale”, poi col piombo, poi senza piombo, poi è arrivata la volta delle sonde Lambda e dei catalizzatori, oggi siamo all’Euro 6. Questo è progresso. Quel che è inaccettabile è che gli autori del noto “diesel gate”, i contraffattori dei risultati sulle emissioni nocive di alcune marche di veicoli non siano in galera a vita per disastro ambientale doloso.

Occorre un progresso consapevole, sostenibile ed ecocompatibile. Questo ci potrà salvare. Ed occorre che Greta vada a spiegare agli Stati che rivendicano il diritto ad inquinare che se quelli maggiormente progrediti li bacchettano è solo perché vorrebbero evitare loro di commettere gli stessi errori che noi abbiamo già commesso.

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