La corsa di don Aniello per liberare gli ostaggi

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di Michele Di Popolo

Deve fare in fretta, fare il possibile per scongiurare una catastrofe. Con mani tremanti mette insieme una bottiglia di vino, una tanica d’acqua, del pane e un cestello di mele. È quello che di più prezioso ha e spera possa bastare. Così provvisto esce dalla casa canonica e si avvia con passo svelto verso il comando tedesco, sotto lo sguardo speranzoso di chi è accorso ad informarlo dell’accaduto.

Sono giorni concitati, ieri la radio ha annunciato l’armistizio: “Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo[…]”.

Quella mattina, un contingente germanico sostava nei pressi del teatro Verdi a piazza Matteo Luciani. Nella sovrastante galleria ferroviaria di via Monti erano rifugiati un migliaio di civili, soprattutto donne, bambini e anziani, ma anche alcuni soldati. Proprio dall’alto di via Monti vengono esplosi colpi di fucile che feriscono mortalmente due soldati tedeschi. A quel punto il commando inizia la rappresaglia e ferma venti ostaggi. Il numero non è casuale, per ogni soldato tedesco ucciso vengono fatti prigionieri dieci italiani, seguendo le disposizioni “Fall-Achse”.

Non è tanto per il ruolo che ricopre o per l’abito che indossa, quanto per la sua personalità forte e carismatica, che lo ha reso negli anni un punto di riferimento per l’intero quartiere, che i cittadini si sono rivolti a lui. E lui, don Aniello, non si tira mai indietro. Giunto al comando tedesco, il sacerdote viene immediatamente privato della merce “preziosa” che aveva con sé, mentre per la liberazione degli ostaggi bisognerà aspettare sera tarda.

Le versioni sul rilascio degli ostaggi sono diverse, quel che è certo è che don Aniello propose uno scambio, rilasciare i venti prigionieri in cambio della sua stessa vita. Dopo quell’evento don Aniello divenne un vero e proprio beniamino del popolo, e ciò indusse il colonnello Lane ad affidarsi a lui. L’11 settembre, infatti il colonnello Thomas Aloysius Lane prese il comando del municipio cittadino, ma le autorità erano scappate e la città era senza una guida. “Portatemi qualcuno che possa darmi informazioni utili, devo sapere da dove cominciare…”, ringhiò il colonnello. Non attese molto e si trovò dinanzi un sacerdote alto e con le spalle larghe come era don Aniello. “E’ quello che si è fatto consegnare gli ostaggi dai tedeschi” – gli sussurrò un ufficiale, sotto lo sguardo incuriosito del prete, che di inglese conosceva poco.

Don Aniello gli passò tutte le informazioni utili, gli parlò di una città operosa, che in quel momento, però, aveva bisogno di tutto. Chiese anche di non infierire contro i fascisti denunciati dal popolo. Quei fascisti che non aveva amato, ma nemmeno ostacolato, nonostante non amasse i regimi dittatoriali. Un giorno non ebbe indugi a scacciare dalla chiesa un gerarca che lo aveva rimproverato di aver somministrato il battesimo a due fratelli ebrei. Sulla porta della chiesa investì il gerarca con queste parole: “da qui e per tutto l’interno, io, il Vescovo, il Papa e il Padre Eterno ; da qui e per tutto l’esterno lei e i suoi capi”.

Don Aniello era colto, intelligente, intuitivo, sempre disponibile. Spese l’intera sua vita aiutando i più deboli, togliendo i bambini dalla strada e in quel quartiere delle Fornelle la sua presenza divenne rassicurante. Un rione di poveri e di umili, di pescatori o venditori di pesce. L’impegno sociale era sempre in cima ai suoi pensieri.

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