Fonderie Pisano, «tutelare famiglie, basta rimpallo tra le istituzioni»

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di Giovanna Naddeo

Riscoprire il messaggio cristiano, ponendo al centro la dimensione familiare. Questo l’auspicio per Natale 2019 a detta di monsignor Luigi Moretti. Dismessi i panni di arcivescovo metropolita della Diocesi di Salerno-Campagna-Acerno, una nuova vita in comunità nelle vesti di viceparroco presso la parrocchia di San Giuseppe Lavoratore.

Un nuovo incarico accanto alle coppie e alle giovani famiglie di via Bottiglieri, con un occhio sempre attento sulla comunità diocesana, in «piena comunione» con monsignor Andrea Bellandi.

Eccellenza, quale riflessione deve ispirare la celebrazione del Natale da parte della comunità cristiana?

«Recuperare lo stupore, recuperare la meraviglia non di una tradizione, bensì di un fatto: la nascita del Bambino Gesù. Il Natale deve rappresentare tutto questo per il cristiano. Siamo di fronte a un dono da parte di Dio all’umanità. Dobbiamo uscire dalla logica del peccato per entrare nella prospettiva dell’eternità e del Regno di Dio, uscire dalla schiavitù dell’immanenza per aprirci alla trascendenza della vita oltre la morte. Oggi rischiamo di festeggiare il Natale (un Natale impolverato e pieno di sovrastrutture) senza il festeggiato: prendiamo ad esempio i messaggi che ci scambiamo, sono pochi quelli che toccano la radice dell’evento. Come ci chiede Papa Francesco, occorre tornare all’essenziale, vivendo la convinzione dell’immensità del dono di Dio».

Sta facendo molto discutere l’abolizione del segreto pontificio e, in generale, la politica portata avanti dal Pontefice. Qual è la sua opinione in merito?

«La sfida lanciata dal Papa sta nell’uscire dalle incrostazioni delle sovrastrutture per attingere alla sorgente originaria. La Chiesa non deve restare un’organizzazione religiosa ma elevarsi a comunità di fede. Come? Tornando alla semplicità e alla potenza delle sue origini. Religione non significa proselitismo, bensì recuperare il rapporto vero con Gesù attraverso l’esperienza della sua resurrezione. Molti credono in Gesù ma si fermano al venerdì santo. Perdita della fede, ecco la diagnosi della malattia. Dobbiamo riscoprire il risorto attraverso il nostro battesimo, un autentico dono della vita nuova. Occorre passare da un rito formale a esperienza di grazia, di fede, costruendo un rapporto vero con il Signore. Solo così potremo costruirne di autentici anche con gli altri. Vivere la verità della fede e non surrogati. Pensiamo ai giovani, alla continua ricerca di emozioni sempre più grandi, di pugni nello stomaco sempre più estremi. Dobbiamo ritornare a cogliere la bellezza nella semplicità della vita, così che l’ordinario sia straordinario. Da qui il forte messaggio lanciato dal Papa: riscoprire la dimensione del cristiano battezzato stando dentro la vita, nella costruzione del Regno di Dio. Il suo è un appello al recupero dell’entusiasmo cristiano».

A proposito di dimensione familiare, il caso Fonderie Pisano continua a spaccare tante famiglie, vedendo la triste contrapposizione tra diritto al lavoro e diritto alla salute. Sta continuando a seguire gli ultimi sviluppi?

«Certamente. Pochi giorni fa ho ricevuto una delegazione di operai della fabbrica. Continuo a sottolineare come questo caso rappresenti un autentico esempio di irresponsabilità istituzionale. Non si può scaricare sulle famiglie le contraddizioni di una situazione più che complessa. Stiamo assistendo a una partita di ping pong tra istituzioni e magistratura, a una guerra tra compromessi, a discapito del diritto al lavoro e alla salute. A lungo andare, il rischio vero è che quando troveranno la soluzione sarà troppo tardi perché, delocalizzata o meno, mancherà la domanda da parte della clientela, a scapito di oltre novanta famiglie. Non penso che chi lavori lì abbia la vocazione al suicidio. Si faccia un discorso responsabile. Non spetta a me dire chi ha ragione, io non ho gli strumenti: dico solo che occorre tutelare gli interessi di tutte le famiglie coinvolte, di chi lavora all’interno delle fonderie e di chi vive accanto. Bisogna arrivare a una definizione ultima. E’ giunta l’ora di portare avanti un discorso non ideologico, bensì realistico. Che sia assunta la responsabilità e sia messo in atto quanto necessario».

Qual è attualmente il suo rapporto con la città di Salerno e come si sta trovando alla parrocchia di San Giuseppe Lavoratore?

«Ho passato momenti non semplici, ma ora va meglio. Che non fossi più in grado di dare le risposte che la Diocesi richiedeva era evidente. Nessuno ha chiesto le mie dimissioni, però ritengo che se non si può garantire un impegno, occorra farsi da parte. Nel Regno di Dio tutti siamo utili e nessuno è indispensabile. Eppure, la mia attività non è finita. Mi trovo molto bene in questa parrocchia. Siamo un gruppo di sette sacerdoti che vivono in comunità, esperienza che ho avuto modo di vivere già a Roma. Adesso mi sto inserendo anche nella vita della comunità, dedicandomi alle coppie e alle nuove famiglie, sostenendoli nella riscoperta della spiritualità nella vita familiare e dell’importanza della presenza di Cristo nella vita matrimoniale. Seguo con grande attenzione la vita della Diocesi, in piena comunione con il nuovo Arcivescovo».

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