Lo scisma di Renzi

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di Alessandro Rizzo

Oggi l’annuncio di Renzi: vado via. Lascia il Pd. Il motivo, dice, le prime scelte di Zingaretti gli sono parse tutte in un’unica direzione: escluderlo dai giochi.

E pensare che quando Zingaretti desiderava le elezioni, l’accordo coi 5stelle lo auspicava Renzi. E Mattarella evidentemente.

La circostanza, poi, che nei giorni scorsi la Boschi si sia interrogata pubblicamente sull’assenza di toscani al governo lascia intendere che la scelta di Renzi era stata già discussa coi suoi fedelissimi. Eppure io non credo che a muovere le iniziative del partito sia stato un sentimento di rivalsa contro Renzi. Credo piuttosto che la sua esclusione dai giochi sia una strategia. Renzi è associato al fallimento del Pd, che se vuol rinascere deve dimostrare di essersene allontanato. Non tanto da escluderlo dai processi decisionali, ma a sufficienza da non tenerlo dentro il governo.

Ma lui, si sa, è un ambizioso. E per di più è un redivivo. Uno di quelli convinti della propria immortalità. Un camaleonte, vicino alla Chiesa ma benevolo coi massoni. Un cinico ma “buonista”. Un cangiante che in questo momento al Pd non serve.

Il Pd ora ha una missione, oltre quella di governare, che è sfruttare questo spiraglio di occasione per rinascere come una fenice. E, soprattutto, per frenare la crescita della lega, il cui populismo dilagante potrebbe fare danni incalcolabili. Un avversario di così basso profilo da sventolare su un palco una bambina facendo credere che sia di Bibbiano, va temuto. Come ha detto De Luca, occorre avere rispetto per un avversario che è passato dal 17% al 34%. E come scriveva Sun Tzu, prima di ingaggiare una battaglia, bisogna sapere di quale esercito si dispone e quanto è fornito l’esercito avversario. Per questo è bene sapere da subito se Renzi è dentro o fuori dalla battaglia.

Un altro elemento che a questo punto può dirsi dichiarato è che il “partito del sì” (questa una delle ipotesi riguardo il nome), sarà centrista e liberale. Insomma, Renzi, accusato da anni di fare politiche per nulla di sinistra, dichiara la nascita di un movimento liberale. È un’ammissione, un atto di onestà; gli va riconosciuto.

L’unica imprudenza è essersi dichiarato comunque riformista. L’Italia, si sa, non è un paese per giovani e dunque non è il paese delle riforme. Sulle riforme sono caduti statisti veri, meglio lasciarle stare le riforme. Ma poi, farle con chi? Se quando guidava il Pd non c’è riuscito, come può pensare di farle con un partito nuovo destinato ad attestarsi intorno al 5% (come prevede Roberto Weber)?

Che la mossa, tuttavia, non vi sembri stupida. Renzi ha già dichiarato che appoggerà il Conte bis. Solo, non ha detto a quale prezzo. E in quattro anni di legislatura di occasioni per presentare un conto ce ne saranno eccome.

E poi il 5% è sempre un buon ago della bilancia, giusto a sufficienza per decidere se pendere di qui o di lì. E questo, uno che ha governato grazie al patto del nazareno, non solo lo sa, ma ha anche dimostrato di saperlo fare…

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