Nazionale, quante polemiche per la maglia verde

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di Pippo Della Corte

De gustibus non est disputandum, antica locuzione latina che ricorda di come siano personali i gusti ma che non ha evitato le recenti infiammate polemiche circa la terza maglia della Nazionale di calcio: verde scuro con piccoli disegni sullo sfondo e con uno scudetto le cui tinte si discostano dal tricolore. Una scelta fashion in linea con le estrosità modaiole che quotidianamente invadono strade, piazze, giornali, Tv e social network. Un look insolito che ha portato bene considerato il buon risultato ottenuto contro la Grecia.

A far da sfondo dibattiti, interviste e accese discussioni sfociate in una sorta di indignazione nazionalpopolare che ha attraversato l’opinione pubblica del Belpaese a quanto pare non in linea con le scelte della Figc e della Puma, lo sponsor tecnico. Una levata di scudi che ha coinvolto parlamentari e politici che dovrebbero, ovviamente, occuparsi di tutt’altro ma tweet e post non sono mancati. La maglia verde ha rievocato l’unico precedente storico risalente al 1954 quando venne indossata durante una partita con l’Argentina, giocata all’Olimpico di Roma e vinta dall’Italia per due reti a zero.

I vertici del calcio nazionale hanno dato, poi, una motivazione di carattere sociale accostando il colore ad un sentimento di speranza per una nuova, attesissima rinascita del calcio. Motivazioni che non sono bastate a tacitare gran parte dei tifosi, evidentemente restii alle novità e ai cambiamenti anche se sporadici e di tipo estetico. A certi livelli e in determinati contesti occorre vincere, portando a casa il risultato al di là delle scelte cromatiche delle divise indossate per novanta minuti o poco più. Per la stragrande maggioranza, però, meglio la classica casacca azzurra che tante gioie ma anche numerosi dolori ha regalato, o al massimo quella bianca seconda maglia storica a cui molti sono affezionati.

La verità è che il calcio non è solo lo sport più seguito e popolare ma anche strumento di identificazione e veicolo di riscatto sociale in particolare dopo la recente brutta, anzi bruttissima figura per non aver partecipato all’ultimo Mondiale. L’Europeo del 2020 è una grande vetrina per i nostri talenti e un modo per rilanciare l’immagine dell’Italia nel Vecchio Continente. L’ultima vittoria in una competizione del genere risale all’ormai lontanissimo 1968: i nati dagli anni Settanta in poi non hanno mai potuto gioire per il primato in Europa.

Troppi anni trascorsi invano, alla ricerca di chissà quale formula magica per raggiungere l’agognato trofeo, quella coppa luccicante capace di suscitare grandi suggestioni. “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro”. (Pier Paolo Pasolini) Da qui un attaccamento alla maglia che va ben oltre la semplice passione racchiudendo un insieme di emozioni viscerali capaci ancora di ribollire al fischio d’inizio. 

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