San Pietro a Corte e il legame con il mondo classico

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di Michele Di Popolo

La scorsa settimana è iniziata la nostra scoperta del complesso monumentale di San Pietro a Corte, un preziosissimo tesoro medievale, testimonianza del periodo longobardo di Salerno. Questa settimana porteremo a compimento il nostro cammino.

La Cappella Palatina. Posta in alto in corrispondenza dell’ipogeo e retta da pilastri e semipilastri, è la cappella che, per l’evidente sopraelevazione, doveva certamente dominare lo “skyline” dell’intera città medievale. La chiesa si articola in una navata unica conclusa da un’abside semicircolare, realizzata in sostituzione dell’originaria abside rettangolare nel corso del restauro cinquecentesco. Quest’intervento, realizzato intorno al 1576, è realizzato per volontà dell’abate Decio Caracciolo e include anche la costruzione della attuale scala di accesso alla chiesa. Durante i lunghissimi lavori di restauro novecenteschi sono venute alla luce, al di sotto degli stucchi barocchi, le strutture longobarde caratterizzate da finestre e bifore, ora libere nel lato nord dai riempimenti e dalle tamponature. Tale elemento si configura come uno dei principali documenti architettonici della Salerno medievale, essendo forse uno dei pochi esempi di conservazione di un’intera ala di elevato longobardo. Le pareti interne, in alto, erano ricoperte da fasce continue di marmo contenenti parole di Paolo Diacono per invocare la protezione di Cristo sull’opera e sulla persona del Principe Arechi II. Le incisioni sono chiaramente una rievocazione della tecnica di incisione applicata nella Roma imperiale. Un simile costume era già stato adottato dai Longobardi nel tempio di Cividale del Friuli, ma l’eccezionalità di San Pietro a Corte è nella conoscenza del calcolo matematico necessario per la definizione della lettera, corrispondente esattamente a mezzo piede longobardo. Un altro elemento di collegamento con il mondo classico è dato dal pavimento in mosaico, del quale sono state rinvenute numerose tessere o pezzetti, che restituiscono un litostroto realizzato in opus sectile con figure che rievocanti il repertorio delle maestranze romane. L’insieme di questi elementi consentono l’apertura di una riflessione sui rapporti della cultura longobarda salernitana con l’antichità, che produce conclusioni di tutto rispetto. Non ci troviamo, infatti, di fronte ad eventi occasionali, ma ad un recupero di tecniche e di culture della vicina antichità romana, come avevano cercato di fare i Carolingi con Carlo Magno nello stesso periodo storico. Durante il periodo normanno e fino al periodo svevo, gli ambienti vennero utilizzati per usi pubblici. L’aula fu utilizzata per le riunioni del parlamento cittadino e per le cerimonie di consegna delle lauree della Scuola Medica Salernitana. Nell’ambiente ipogeo fu disposto un oratorio. Il vano di comunicazione tra i due ambienti fu chiuso: nel primo ambiente si riscontrano delle vasche per la preparazione di materiale edilizio, mentre nel secondo ambiente, l’oratorio, furono rinforzate con ciottoli e malta le pareti sia dei muri laterali romani che del setto divisorio realizzato in epoca arechiana. Sono visibili un sedile e due altari mentre gli intonaci risultano affrescati con dipinti del XII e XIV secolo. Nel 1576 la chiesa superiore subì un considerevole restauro che ne modificò sostanzialmente l’aspetto interno, mentre nel 700 fu realizzata l’imponente scala d’ingresso che conduce ad un protiro caratterizzato da con un timpano triangolare sostenuto da colonne. Caduta successivamente in disuso, durante la prima guerra mondiale fu utilizzata come deposito militare finché, nel 1939 fu affidata in concessione alla confraternita di Santo Stefano dall’arcivescovado. Gli ambienti a livello stradale fino agli anni cinquanta erano occupati da un fornaio, un carbonaio e dalla cappella di Sant’Anna. A partire dagli anni settanta partirono gli scavi della sovrintendenza per mettere in luce gli ambienti ipogei. Recenti teorie, non confermate però da una storiografia certa, indicano l’ambiente di San Pietro a Corte non come Cappella Palatina ma come aula di rappresentanza della Reggia di Arechi II.

Il campanile. Addossato al lato nord della cappella è il piccolo campanile romanico, la cui cronologia è alquanto incerta. La prima menzione di un campanile si trova nel Chronicon Salernitanum del X secolo, dove l’Anonimo autore ricorda che fu fatto costruire da Guaimario II intorno al 920 d.C., ma il campanile oggi visibile è certamente successivo all’edificazione del vicino Palazzo Fruscione e, di conseguenza, non antecedente al XIII secolo.

La Cappella di Sant’Anna. Ai piedi del campanile, nello spazio d’angolo creato con il basamento del complesso palatino è stata edificata in età moderna la Cappella di S. Anna. L’aspetto attuale della cappella è condizionato dagli stucchi e dall’affresco della volta raffigurante La natività della Vergine, opera del pittore Filippo Pennino del secondo decennio del XVIII secolo (XVIII). Tali pitture risalgono al periodo di insediamento della Congrega di Sant’Anna, a cui si deve, quasi certamente, la costruzione e decorazione del vano. Sulla parete attigua a San Pietro a Corte, quindi la meridionale della cappella, è collocato un secondo dipinto raffigurante Sant’Anna con la Vergine bambina e due santi, la cui cronologia non supera la metà del XVI secolo. Considerato il posto dove è collocato, l’affresco potrebbe risultare indipendente dal resto del vano, costruito successivamente. In questo caso il dipinto rinascimentale sarebbe un’edicola votiva, aperta sulla strada. La continuità dei soggetti raffigurati nelle pitture, dall’ipogeo alla cappella, indica che il luogo ha ricoperto nei secoli uno stretto legame con il culto mariano.

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