Teatro è apprendimento

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di Luana Izzo

Il teatro come luogo per apprendere. Pedagogia e arte teatrale si fondono per costituire un importante strumento di formazione. Ed è Antonio Stornaiuolo, pedagogista e direttore artistico dell’officina teatrale Primomito, a spiegare come si conciliano.

Antonio, possiamo considerare il teatro uno strumento per apprendere?

«Assolutamente sì. Oggi più che mai le istituzioni volgono sempre in misura maggiore lo sguardo verso il teatro. La “praxis” apre un orizzonte del tutto nuovo ed affascinante sottolineando la valenza del teatro come momento per sperimentare sé stessi, in un’ottica di promozione e di sviluppo, come sostegno a processi di empowerment individuali e collettivi, come forma di ricerca espressiva e comunicativa».

Considerando la tua esperienza, quali sono i benefici del teatro in ambito pedagogico?

«Spesso resto stupito nel vedere, durante il percorso di laboratorio teatrale, bambini chiusi ed introversi, come riescono ad esprimersi al meglio, mostrando molta più sicurezza e padronanza di linguaggio. E’ risaputo che nel processo di apprendimento, entrano in gioco i fattori cognitivi, emozionali, sociali, relazionali, affettivi e sono molto importanti anche quelli motivazionali. Ogni gruppo è formato da diversi bambini, ed ogni bambino deve avere la possibilità di poter sviluppare in modo adeguato le diverse competenze in modo soddisfacente. Il teatro apre diversi canali di comunicazione: i sensi, le emozioni, la parola, la scrittura, il corpo. E poi c’è la creatività, l’immaginazione».

Il teatro, dunque, consente il potenziamento delle proprie capacità?

«La maschera è una dimensione importante. A livello psicologico dà l’effettiva sicurezza di essere qualcun altro. Questa proiezione dà la possibilità di scaricare le ansie e le paure sulla maschera stessa, dando maggiore energia alla propria voce, alle proprie emozioni, ai propri sentimenti. Nello stesso momento, gli esercizi di respirazione, di padronanza del gesto, il riconoscimento delle emozioni, permettono di percepire meglio alcuni aspetti di sé».

Perché il gruppo dei pari ha una funzione importante nel processo di apprendimento?

«Collaborare con gli amici è importante. Mi viene in mente il concetto di Zona di Sviluppo Prossimale di Vygotskij. Essa consiste nella distanza tra il livello effettivo di sviluppo e il livello di sviluppo potenziale sotto la guida di un adulto o in collaborazione con i pari più capaci. Il confronto con l’adulto, o l’amico più competente, procura a livello cognitivo processi evolutivi. Naturalmente, i bambini andrebbero educati alla collaborazione».

Il teatro è di per sé pedagogico?

«Sì, questo sicuramente. Il teatro stesso è strumento educativo. Naturalmente bisogna capire come si “utilizza” questo strumento. Chi guida i ragazzi con consapevolezza e competenza in ambito psicopedagogico, sposterà l’attenzione sulla funzione teatrale, per cui negli obiettivi di un laboratorio, oltre alla recitazione, ci saranno soprattutto lo sviluppo e il rafforzamento delle capacità cognitive, relazionali, sociali».

A chi consiglieresti di fare teatro?

«A tutti, partendo dagli insegnanti. Il teatro mai come oggi è una possibilità metodologica da attuare, valida nell’applicazione, considerando che si basa su attività ludiche, quindi motivano di per sé i ragazzi, spingendoli, inoltre, alla scrittura, alla rielaborazione, al confronto, alla riflessione, alla collaborazione, alla metacognizione sulle attività messe in atto, per dirla con Piaget, capacità critica, che oggi più di ieri e domani più di oggi saranno indispensabili all’uomo. Il laboratorio teatrale crea una vera e propria comunità di apprendimento. Il percorso diventa soggettivo in un lavoro di gruppo, ed ogni ragazzo si sente responsabile dell’andamento dell’intera squadra».

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