di Matteo Maiorano
Giuseppe Lovetere, cartolina da Albenga. Ricordi e aneddoti del suo primo pupillo: «Era il tecnico-marines»
Una rincorsa lunga 40 anni. Partì dalla cittadina di Albenga, comune a sud della provincia di Savona, l’avventura giacca e cravatta di Gian Piero Ventura. Il paesino ligure, con un trascorso importante nel calcio dilettantistico, fu la prima parentesi come tecnico di una prima squadra per il trainer della Salernitana, dopo le positive esperienze nella Genova blucerchiata.
In Riviera all’approdo di Ventura non fece eco la passione dei giorni migliori, anche perché in Liguria si tengono ben lontani dai facili entusiasmi e preferiscono il lavoro alle false speranze. Giuseppe Lovetere, all’epoca numero dieci del sodalizio bianconero, notò per primo alcune peculiarità del tecnico, che lo rendevano diverso dagli altri profili che fino ad allora avevano occupato i seggiolini dell’Annibale Riva, lo stadio cittadino conosciuto per via della vicinanza con la caserma.
Proprio come i soldati, Ventura dava l’impressione di una persona dal carattere schivo, chiuso, ma determinato nelle sue idee. «Ha avuto ragione lui – racconta Giuseppe Lovetere, numero dieci dell’Albenga ’80/’81 – visti i risultati raggiunti». Ventura, all’epoca 32enne, era coetaneo di molti suoi calciatori. Il tecnico legò particolarmente con l’attaccante, per quella che diventerà una delle caratteristiche peculiari nella sua carriera da allenatore. «La cosa che ricordo più nitidamente era l’approccio al lavoro: si dimostrava un professionista in tutto quello che faceva, aveva una marcia diversa. Ai giorni nostri ogni allenatore viene circondato da un grande staff, mentre lui faceva praticamente tutto da solo. Era un grande preparatore atletico».
Lovetere, nel discutere sul profilo del tecnico, ricorda un aneddoto che fa da sfondo al racconto: «Il venerdì in allenamento rimediai una pubalgia. Ventura, finita la seduta, decise di farmi visitare da un suo medico di fiducia che orbitava nel mondo Samp. Chiudemmo il campo e andammo a Genova. Legammo particolarmente dopo quell’episodio, diventammo presto grandi amici». In tecnico, oltre a dirigere, correva fianco a fianco con i tesserati: «Teneva in riga il gruppo come i marines, negli ultimi scatti riusciva a tirar fuori una forza straordinaria: lo vedevi che aspettava in fondo al percorso, imitando il gesto del fumo di sigaretta per far trasparire un’ironica sprezzatura».
Il mister volle Lovetere anche nella successiva esperienza a Rapallo: «Le strade si divisero ma restammo in contatto. Fu lui a chiamarmi, due stagioni dopo, all’Entella. Io lasciai qualche anno dopo, mentre lui iniziò la lenta ma inesorabile ascesa nel mondo del calcio».
*foto Albenga Calcio, una passione di padre in figlio di Gabriele Patrucco