Camillo Rinaldi: «Il mio sangue è biancoverde»

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di Matteo Maiorano

«’O Sovietico punta di diamante di un fantastico sogno». Camillo Rinaldi, ex attaccante del Vietri-Raito, racconta aneddoti e curiosità sulla sua carriera. Calciatore, arbitro, allenatore: Rinaldi ha toccato con mano quanto il calcio possa cambiare la vita delle persone.

Cosa ha rappresentato per lei il Vietri-Raito?

«E’ stato una scuola di vita. Le personalità legate al sodalizio costiero hanno aiutato tanti ragazzi ad emergere. C’è stato chi ha avuto fortuna nel pallone e chi invece ha ottenuto le proprie soddisfazioni in altri campi. Tutti però siamo diventati uomini dall’alto spessore morale».

Da calciatore ad arbitro: ha fatto un passaggio di non poco conto ruotando sempre nell’orbita di questo sport…

«E’ una storia un po’ strana. Ho sondato tutti gli aspetti legati al calcio: calciatore, arbitro, allenatore di scuola calcio. Ognuno di essi ha lasciato dentro di me un insegnamento. Sono diventato arbitro quasi per gioco, sono stato coinvolto dagli amici che mi hanno chiesto di mettere il fischietto in bocca e dirigere le loro gare. Non credevo di riuscire a farlo, ho raggiunto discreti livelli. Aver giocato a calcio aiuta molto sotto questo punto di vista, riesci a capire gli umori dei calciatori e determinate situazioni di gioco. E’ incredibile entrare nello stadio ed essere continuamente il centro dell’attenzione per 90 minuti».

Dalle nostre colonne è partita l’idea di intitolare il campetto di Marina a Giovanni D’Acunto…

«Sarebbe un’idea fantastica. ‘O Sovietico, come veniva chiamato da tutti noi, è stato il promotore, la punta di diamante di questo fantastico viaggio».

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