di Adriano Rescigno
Aiutare a morire non è sempre un reato, ma senza una normche delimiti modalità e casi in cui un medico può abdicare al giuramento di Ippocrate, sul tema può essere caos. E’ dunque recentissima giurisprudenza la sentenza del 25 settembre 2019 con la quale la Corte Costituzionale è intervenuta nella controversa questione del cosiddetto suicidio assistito, dichiarando non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di un paziente affetto da una patologia irreversibile che gli causi sofferenze intollerabili, tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale ma in grado di prendere decisioni consapevoli”.
In buona sostanza si chiede che vengano rispettate le norme sul consenso informato e che le modalità di esecuzione vengano verificate da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, “sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”. Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale era quello di Dj Fabo; tema di eutanasia, fine vita e testamento biologico che anche tra i medici del Salernitano trova favorevoli e contrari al porre fine da parte del medico alla vita di un paziente.
«E’ complicato assai – afferma Renato Gammaldi, responsabile del reparto di anestesia e rianimazione del Ruggi d’Aragona di Salerno – soprattutto per tutti gli scenari etici e morali che si apriranno dopo questa sentenza. Noi siamo medici, c’è un problema, c’è un vuoto, che deve essere colmato non tanto dalla Corte Costituzionale ma quanto dal legislatore che deve intervenire e fare chiarezza. In questa vicenda oltremodo spinosa la Corte Costituzionale è stata tirata per i capelli dentro, ma la vera decisione spetta ad altri».
I favorevoli – Accarino e Cirillo. Tra i camici bianchi salernitani favorevoli ad un’autodeterminazione delle sorti del paziente e che, quindi, aprono la strada, a determinate condizioni, ad un fine vita gestito dai medici, ci sono: Giancarlo Accarino (foto), direttore dell’unità operativa complessa di chirurgia vascolare ed endovascolare nonché direttore del dipartimento cardio – toracico – vascolare ed area critica del Ruggi d’Aragona di Salerno, e Romualdo Cirillo, già direttore dell’unità operativa complessa di anestesia e reanimazione del Ruggi d’Aragona e coordinatore centro trapianti regionale. «Sono favorevole ad una autodeterminazione del paziente – dice Cirillo – abbiamo una coscienza, come medici e come pazienti. Sul tema ovviamente siamo ad una mera sentenza, anche se fa giurisprudenza, e bisogna puntellarla con una legge seria e minuziosa. Il fine vita è un tema importante e vedo che c’è ancora poca informazione a riguardo; dovremmo essere noi, in determinate condizioni fisiche, a poter decidere del nostro destino, escludendo la responsabilità penale del medico che avrà in carico che nostre ultime sorti”, conclude. Sulla stessa linea di pensiero si pone il dottore Giancarlo Accarino: «Quando ci sono situazioni ormai perse e degenerate troppo in là è inutile accanirsi» «Sono favorevole a una legge che tratti il tema ponendosi in maniera reverenziale verso il rispetto della dignità della persona. La legge deve farsi carico di elencare dettagliatamente i casi in cui accompagnare alla morte non è reato onde evitare speculazioni e la creazione di una “industria del suicidio» – continua – La speranza di vita va salvaguardata ma non estremizzata, nel momento in cui c’è una totale assenza si speranza di guarigione e salvezza nessuno può negare il diritto alla morte al paziente che nel migliore dei casi è costretto a letto tra atroci sofferenze e dolori». Al netto di ogni considerazione personale e professionale è giunto dunque il momento di riformare il sistema sanitario nazionale e gli studi universitari dei medici che contemplano non solo più la lotta serrata alla morte del paziente ma anche un’assistenza guidata alla fine dello stesso.
L’indeciso – Scola. «E’ ancora troppo presto per poter prendere una posizione sul tema.Impossibile schierarsi ora sul fine vita basandosi solamente sulla giurisprudenza attuale», il parere di Enrico Scola, cardiologo e responsabile dell’ospedale di Castiglione di Ravello per quanto attiene la “zona disagiata” in cui è sito il Costa d’Amalfi, dunque ancora non si esprime e avanza diverse perplessità sulle quali il parlamento dovrà fare chiarezza, ma la preoccupazione maggiore è verso la costituzione di una “industria del suicidio”. «Abbiamo lo scontro di due libertà, quella del paziente e quella del medico, che possono discordare sullo stato e sull’avanzare della patologia e quindi si inserisce la problematica di un “consenso valido” ed informato» – precisa Scola, il quale ribadisce che «occorre una normativa chiara non criptica che eviti speculazioni da parte delle strutture private. Anche in caso di buon fine e promulgazione della legge si apre il problema degli obiettori di coscienza. La sentenza del 25 settembre era scontata, la aspettavano tutti in tal senso ma senza una legge non sento di esprimere una posizione». «I luoghi – incalza Scola – le modalità, le procedure; ci saranno cliniche provinciali, regionali, ci sarà un unico centro nazionale che si occupi dell’assistenza alla morte? La domanda giusta sarebbe: che tipo suicidio assistito? C’è troppo fumo ancora per poter esprimere una posizione», conclude Scola.
I contrari – Polichetti e Serra. «Noi siamo medici e lottiamo contro la morte, il nostro è un no secco». Contrari a qualsiasi tipo di assistenza alla morte i medici Mario Polichetti, ginecologo e componente dell’equipe gravidanze a rischio del Ruggi d’Aragona di Salerno e la dottoressa Elvira Serra, chirurgo, specialista in anestesia, rianimazione e terapia del dolore. «Io sono contraria – dice la Serra – da medico posso avanzare numerose perplessità. Ci saranno prima di tutto numerosi obiettori di coscienza. Successivamente: chi si occuperà di premere l’ultimo bottone? Prima di pensare al fine vita bisogna attrezzare strutture idonee per le cure nella maniera meno dolorosa possibile, il paziente bisogna solamente “accompagnarlo” alla morte. La sentenza parla di apparecchiature, ma non le specifica, e per quanto riguarda il consenso? Nel caso dei minori e degli anziani, come si farà? Siamo certi che qualcuno non deciderà per loro per motivi per esempio di eredità o di interesse? Noi siamo medici e lottiamo contro la morte. Partiamo da questo assunto. Si inizia con l’eutanasia e poi dove potremmo in prospettiva finire? La degenerazione è sempre ad un passo. Al momento non ci sono strutture idonee, dovremmo organizzare i reparti e soprattutto gli studi universitari dei futuri medici venendo meno ai dettami del giuramento di Ippocrate e quindi aprirci anche alla possibilità di essere assistenti per la morte del paziente?», conclude. «Assolutamente contrario – dice con convinzione il dottore Polichetti – sul tema. La morte deve essere vissuta nel rispetto della dignità del paziente. La mano del medico non può essere quella che stacca la spina. Con questa pronuncia e senza una legge idonea si presta il fianco a strumentalizzazioni. Al posto di porre gabelle sulle merendine il parlamento di occupi di temi seri andando verso una legge che rispetti al cento per cento la dignità dei pazienti e la professionalità dei medici. Per quanto mi riguarda, no secco all’eutanasia. Noi gettiamo il cuore – conclude Polichetti – oltre l’ostacolo per salvare vite, la morte non la contempliamo».