Rosita Sabbetta della compagnia “I Pappici” racconta la pandemia
di Luana Izzo*
Oggi un gradito ritorno sulle nostre pagine, l’amica, attrice, regista e formatrice teatrale Rosita Sabbetta, della compagnia salernitana “I Pappici”.
Rosita, come sono trascorsi questi mesi di emergenza sanitaria…
«Questi ultimi tre mesi sono stati particolarmente duri per noi come per tutti. La dominante è stata sicuramente la sensazione di precarietà, il non sapere come e se ci sarebbe stato un ritorno alla normalità. Non avere un termine, una data, entro la quale tutto sarebbe finito. Non avere una regola di condotta univoca e definitiva ha generato una sorta di bolla sospesa nella quale ci siamo sentiti, al contempo, prigionieri ma stranamente protetti. Non per tutti noi però è stato così. Il teatro amatoriale, dove il legante principale, ancor prima della passione per la recitazione, è la comune appartenenza ad un nucleo eterogeneo che si associa, se non addirittura sopperisce, a quello familiare, svolge una funzione socio pedagogica troppo spesso sottovalutata. Non essendoci interessi economici retrostanti, le prove e le rappresentazioni sono momenti imprescindibili di comunione affettiva, senza i quali molti si sono trovati improvvisamente soli e isolati, innescando dentro di sé fenomeni non lontani dalla depressione. Dopo un primo mese connotato dal silenzio per assenza di parole che giustificassero o fossero di conforto per quanto accadeva in noi e intorno a noi, l’unica iniziativa degna di un valore sociale per la nostra famiglia teatrale è stata quella di farci sentire, l’uno con l’altro. Ricordarci che ci siamo e che questa è solo una pausa dal teatro ma non da quello che abbiamo costruito tutti insieme, anno dopo anno. Abbiamo ripreso a prenderci in giro, a risponderci con citazioni dei vari spettacoli messi in scena fino a poco tempo fa. Insomma, ci siamo stretti intorno a noi e siamo andati a riprenderci chi era caduto nel baratro della solitudine. Perché questo fa una famiglia e questo è quello che noi siamo. Una famiglia ha scelto di essere tale, come lo sono la stragrande maggioranza delle compagnie amatoriali.
Come vedi la ripartenza?
«Il 15 giugno il teatro può ufficialmente ripartire, ma quale teatro? Quello che conosco io è fatto di corpo, di contatto, di respiro comune tra pubblico e attore. Il mio teatro è aperto a tutti, è fatto di abbracci, di carezze e di sudore. Di urla viso contro viso, mani che stringono mani. E’ un teatro che prima che dal cuore deve partire dalla pancia. Un teatro con dei limiti non è teatro. Comprendo che ripartire sia fondamentale e che la sicurezza di tutte le componenti sia imprescindibile, personalmente però avrei preferito aspettare pur di non andare in scena a mezzo servizio, cosa che comunque faremo nel rispetto di chi ci ha seguito e in segno di speranza, ma con un pizzico di amarezza e tanta malinconia».
*officina teatrale “Primomito”