L’uomo incappucciato

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di Walter Di Munzio*

La coppia Presidenziale americana, Donald e Melania Trump sono positivi al coronavirus. Un colpo mortale per la campagna elettorale del presidente uscente che ha fondato gran parte dell’azione del suo governo sulla derisione di mascherine e misure di prevenzione. Indicate con disprezzo come sintomo di vigliaccheria e di incertezza non degna di un presidente americano. Che, si sa, deve essere forte e invincibile. Più di chiunque altro ed al di sopra di ogni nemico. Figuriamoci di un microscopico e piccolo avversario. La positività al controllo a cui si son dovuti sottoporre a seguito del malore che ha colpito una stretta collaboratrice del presidente durante un viaggio sul presidenziale Air Force One. Che succederà? Non è dato sapere. Trump certamente chiederà un rinvio della data delle elezioni o punterà tutto sul sentimento di solidarietà degli elettori nei confronti del loro presidente ammalatosi nel corso di un’epidemia che ha colpito con particolare virulenza il popolo americano. Dimenticando che ciò è accaduto anche per una superficiale gestione della stessa. Il bullo Trump si è anch’egli arreso di fronte ad un virus che aveva già colpito altri leader altrettanto spavaldi, prima l’inglese Johnson, poi il brasiliano Bolsonaro, poi il nostro Berlusconi ed ora Trump e poi chissà chi altri sarà punito da questo spietato castigatori di potenti irriverenti. Non ne siamo particolarmente soddisfatti, ma non riusciamo a provare solidarietà per questo leader ignorante e violento, amico di suprematisti bianchi e fautore di muri per contenere quelle popolazioni che dal Messico tentano di entrare negli Stati Uniti, meta sempre agognata e da oltre un secolo aperta al lavoro degli ispanici e degli immigrati senza terra di molte parti del mondo, incluso il nostro paese. L’Italia è stata infatti per secoli un popolo di emigranti e ….. dalla memoria corta.

Ora parliamo di un doloroso suicidio che ha occupato per molti giorni le cronache dei maggiori giornali e molti notiziari televisivi. Un martedì di fine settembre un bambino di 11 anni si è ucciso lanciandosi dal balcone di casa, al decimo piano di un palazzo di Napoli, in un ricco quartiere borghese. La tragedia è stata scoperta solo dopo una manciata di minuti dalla sorella del bambino che, non vedendolo più, ha avvisato i genitori. Il corpo era adagiato senza vita su un ballatoio diversi metri più in basso. La madre ha trovato sul suo cellulare un messaggio che il figlio le aveva inviato prima di lanciarsi e in cui si faceva riferimento a un “uomo col cappuccio”. Aveva il tono ed il sapore di una disperata e tardiva richiesta di aiuto. La Procura ha ipotizzato che il bambino possa essere stato plagiato attraverso Internet da una Challenge (una Sfida) ed ha avviato una indagine col supporto della Polizia Postale. Il bimbo potrebbe essere stato contattato con un WhatsApp o altri strumenti informatici di comunicazione veloce, molto usati da giovani e giovanissimi. Il giovane, figlio di noti professionisti, non avrebbe dato nessun segno di preoccupazioni negli ultimi giorni, appariva sereno ed era perfettamente integrato con familiari ed amici. L’ultimo messaggio inviato ai genitori parlava genericamente del suo terrore di un uomo col cappuccio che lo avrebbe spinto al suicidio. Lo aveva definito l’uomo col cappuccio. Tra le ipotesi degli inquirenti anche quella che sia stato coinvolto in una sfida mortale, un perverso gioco su Internet in cui la vittima è chiamata a superare una serie di prove di crescente violenza che prevedono al culmine atti di autolesionismo fino alla morte; in realtà non si è mai riusciti a trovare traccia documentabile dell’esistenza di questo gioco-sfida. Si tratta, qualcuno afferma, di una leggenda metropolitana a tema horror diffusa su Internet. Questo non esclude che qualcuno possa essersi spacciato per il protagonista di questo tipo di storie, ben note tra i giovanissimi, che sembrano ben disposti a farsi coinvolgere. Sono chiaramente storie di iniziazione che investono soprattutto giovani maschi, spaventati e disorientati dalla fatica di crescere, con genitori che non si rendono conto del profondo dolore che questi giovani uomini vivono in una fase delicatissima fase di passaggio della loro vita. Altra ipotesi, che il bambino sia stato contattato da un “Jonathan Galindo”, ovvero il protagonista di una delle più terribili leggende che girano su Internet. Uno psicopatico che, mascherato da Pippo di Disney, proporrebbe agli adolescenti di giocare con lui una sfida mortale. Le fotografie e i video che girano sono stati realizzati una decina di anni fa da un truccatore che lavora nel campo degli effetti speciali nel cinema. Successivamente qualcuno ha rubato quel materiale, pubblicato su Internet, e lo ha usato per dare forma all’ennesimo personaggio malvagio che si può incontrare nel web. Il meccanismo è lo stesso raccontato nella Momo Challenge e nella storia della Blue Whale (Balena Blu, diffusa su Twitter). Ma anche in questi casi non si sono trovati riscontri tali da dimostrare l’esistenza di challenge. Col diffondersi della notorietà di queste leggende, sono fioccati anche i profili denominati Jonathan Galindo, che si muovono su TikTok, il social più in voga al momento tra i giovanissimi. Naturalmente frotte di esperti si sono fiondati su questo fenomeno per fornire chiavi di lettura tali da colpevolizzare genitori, educatori ed istituzioni come la scuola o l’eccessiva esposizione a strumenti quali televisori o computers, ma spesso siamo lontani da una decodifica realmente attendibile del fenomeno. Sappiamo bene che non esistono Balene Blu o psicopatici mascherati da Pippo, ma non possiamo escludere che qualcuno, cavalcando la popolarità di queste leggende, possa realmente contattare ingenui bambini inducendoli ad azioni estreme e autolesive. Perché? Qualcuno si chiederà. Perché i mostri sono sempre esistiti, non li ha creati la rete, ora la utilizzano, escono dalle strade buie e si nascondono anche negli spazi oscuri di internet.

*psichiatra e pubblicista

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