Onde, barche e reti: storia dei pescatori della Divina Costa

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di Rosario De Sio

Nel cielo si disperdono gli ultimi strascichi d’oscurità sotto la crescente luce solare. Le onde del mare si muovono ritmicamente ondeggiando al soffio del vento, provocando un leggero dondolio della piccola imbarcazione che, ormai da ore, solca le placide acque di Capo d’Orso. Nell’aria si diffonde una live brezza che accarezza il volto madido di sudore degli uomini sulla piccola barca. Il sole ormai è alto e i pescatori fanno rotta verso casa, il piccolo borgo costiero di Marina. Passeggiando lungo la spiaggia della Rosa dei Venti, non si può far a meno di notare tutte quelle piccole imbarcazioni a remi, o a vela, ancorate sulla spiaggia e molte altre se ne vedono ancorare al largo della spiaggia del Risorgimento.

Indubbiamente, la Costiera Amalfitana è una terra che con il mare si è sempre confrontata: è parte essenziale della sua storia e della sua identità. Non solo; il mare è stato e continua ad esserlo, il principale mezzo di sostentamento, soprattutto per piccole comunità come quelle di Marina o Cetara. Proviamo a fare un passo indietro nei meandri del tempo per capire cosa ha rappresentato la pesca per Marina e soprattutto com’è cambiata nel corso degli anni. Il pescatore è forse uno dei mestieri più vecchi al mondo eppure il tempo non ha esitato a esercitare la sua forza su di esso. Prima che i grandi pescherecci solcassero il mare, gli abitanti del piccolo borgo costiero si recavano a pesca affollando la spiaggia scalzi, senza impermeabili, cappelli o attrezzature. Mossi solo dal loro coraggio e dalla necessità i primi pescatori andavano al lago utilizzando piccole imbarcazioni per lo più barche a remi o a vele. Il mare è generoso con chi sa aspettare, i pescatori armati di pazienza dovevano solcare le sue acque tutta la notte alla ricerca di branchi di pesci da poter catturare.

La pesca si eseguiva con una rèzza di cotone che era gettata dalla barca e dopo un po’ tirata a bordo. Molti pescatori di Marina, Raito e Cetara, avevano cercato fortuna nelle acque francesi e liguri e qui avevano imparato un altro sistema di pesca detta la pesca a strascico. Ovviamente questo tipo di pesca si poteva eseguire con barche a motore quindi molto più potenti delle semplici barche a vele. La pesca più diffusa era quella delle triglie e delle seppie che i pescatori erano soliti compiere nelle acque di Paestum o di Positano essendo queste zone molto ricche di pesce. Più difficile era invece la pesca delle acciughe poiché essa segue le diverse fasi lunari.

Prima dell’avvento del motore i pescatori utilizzavano prevalentemente barche a remi munite di lampara, una lampada particolare, utilizzata ancora oggi per attrarre le acciughe in superficie. I pescatori scendevano in gruppi di dodici e ogni barca poggiava sul manto d’acqua la sua lampara. Una volta individuato il branco più grande si procedeva con la cianciola, una rete circolare, che non lasciava nessuno scampo alle acciughe che finivano tutte lì, ammassate, alla mercé dei pescatori. Da anni ormai sono avvenuti dei cambiamenti; i pescatori utilizzano macchinari all’avanguardia, le stesse imbarcazioni sono molto più potenti e veloci e consentono maggiori spostamenti nel Mediterraneo.

Della vecchia generazione di pescatori, ormai, ne sono rimasti pochi, se né vedono alcuni intenti a riparare le reti e le lenze con la crocella lungo la spiaggia di Cetara, altri seduti in riva a mare a Marina con le visiere dei cappelli calati sugli occhi, quasi a voler dirigere lo sguardo lungo la linea dell’orizzonte. Nella zona portuale di Amalfi se ne incornano alcuni, seduti su vecchie sedie di paglia intrecciate a mano. Nonostante l’età e i volti marcati dal tempo, continuano a costruire crocelle seguendo l’antico metodo dei loro nonni, muniti solo di coltello e di vecchie mazze di scopa, nulla a che vedere dunque con gli attuali aghi di plastica venduti su grande scala.

«Non era una bella vita quella del pescatore ma non c’erano scelte, era la nostra vita – dice Gerardo Pisacane pescatore di antica data – l’abbiamo appresa dai nostri genitori e dai nostri nonni, fa parte del nostro essere ormai. Il mare una volta che ti entra dentro non se ne va più via». Agli occhi di Gerardo il mestiere del pescatore sembra molto diverso rispetto al passato così come diversa è anche la stessa spiaggia di Marina, ormai piena di lidi per bagnanti, un tempo affollata di famiglie che aspettavano con ansia i loro uomini di ritorno dal mare.

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