Vulpiani, il geometra del centrocampo

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di Matteo Maiorano

Attaccamento alla piazza e alla società, rapporti viscerali tra tifoserie e calciatori. Questo era il calcio degli anni ’80, quando Bosman giocava ancora nello Standard Liegi e i calciatori davano l’anima per contribuire al successo collettivo. Oggi molte cose sono cambiate. Lo sa bene Fabio Vulpiani, centrocampista tutto corsa e grinta, che ha vestito la maglia granata dal 1980 al 1984. Oggi geometra ed allenatore, Vulpiani guarda al passato con molta malinconia.

Vulpiani conosce bene Salerno e la sua tifoseria…

«Ho giocato a Salerno tra l’80 e l’84: sono stati 4 anni completamente diversi tra di loro. È stato il punto più importante della mia carriera calcistica, venivo da una parentesi a Pagani durante la quale ero stato anche convocato dalla nazionale di Serie C. La prima stagione è stata condizionata dal terremoto, che ha fortemente turbato la squadra. Gli anni successivi partivamo con l’ambizione di vincere ma si alternavano ogni campionato società diverse: c’erano difficoltà organizzative importanti. Sicuramente è stato il percorso più importante per me, sia dal punto di vista affettivo che sportivo, poiché a Salerno ho conosciuto mia moglie. Questa città è diventata la mia seconda casa».

Perché oggi siamo così nostalgici del calcio anni ’80?

«Gli anni in cui ho giocato furono precedenti alla sentenza Bosman, la quale ha dato la possibilità al calciatore di poter scegliere da solo la squadra di destinazione. Prima di quel provvedimento il giocatore apparteneva alla società: era questa a deciderne il futuro. La dinamica permetteva così di avere un rapporto più intimo tra calciatore e proprietà. Dopo questa sentenza il calciatore ha avuto la possibilità di firmare contratti pluriennali mentre prima era importante che facesse bene l’anno per avere la possibilità di rinnovo; si instaurava un rapporto più profondo con la proprietà e la stessa tifoseria. Penso che per questo manca questo tipo di calcio, era il calcio dei legami forti e dei beniamini».

Nel calcio moderno esistono ancora questi legami?

«Oggi c’è maggiore egoismo, un maggiore interesse personale e a causa di questo minore occasione di fare gruppo e creare legami tra la tifoseria e i calciatori. C’è meno socialità: quando giocavo io, ci si riuniva sempre tutti. I senatori facevano da chioccia ai più giovani. Credo che per questo oggi quando torno la gente mi riconosce e mi dimostra ancora, a trent’anni di distanza, un affetto incredibile. Il lato umano resta, l’aspetto economico si sgretola. Del campo posso dire che oggi c’è un’attenzione tattica incredibile: prima c’era la marcatura a uomo adesso quella a zona va per la maggiore. Ora il difensore è protagonista della manovra di costruzione, per questo è difficile trovare un centrale o terzino che sappia marcare bene».

Si fa un gran parlare oggi delle seconde squadre, qual è la sua posizione al riguardo?

«È sicuramente positivo il fatto che si cerchi di realizzarle. PIan piano stiamo perdendo un patrimonio italiano. Mi auguro che così crescano i giovani nostrani, è un modo per farli giocare di più. Io non ricordo ai miei tempi calciatori stranieri che sono esplosi dalla C. Dobbiamo avere più coraggio nel farli giocare».

Di cosa si occupa Fabio Vulpiani oggi?

«Svolgo l’attività di geometra e mi diletto nel ruolo di allenatore a livello dilettantistico. Seguo i miei figli, che giocano proprio nelle serie minori».

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