Don Felice, Matteo e Michele: preghiere sotto le bombe

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di Michele Di Popolo

È la notte tra il 16 e il 17 settembre del 1943. La città è vittima dei bombardamenti già da diversi mesi. In lontananza si possono sentire le sirene che esortano i cittadini a trovare riparo nei precari ricoveri antiaereo.

Un uomo, un sacerdote, prega dinanzi all’altare, con le gambe ripiegate all’indietro: si può percepire preoccupazione dalla sua rigida posa, ma deve restare calmo. Con lui ci sono due giovani parrocchiani, Matteo Rufolo di 15 anni e Michele Greco di 29 e lui, don Felice, non può mostrare la paura che gli attanaglia il cuore. Prega perché la guerra finisca presto, prega per le tante vittime e nonostante sappia quanto sia pericoloso restare lì, è consapevole che quello è il suo posto, la sua missione. Salerno sta toccando da vicino gli orrori e la paura della guerra, una guerra che fino a qualche mese fa non aveva interessato direttamente la città, chiusa nel dolore di lutti lontani, accaduti altrove.

Nel giugno del ’43 ha avuto inizio l’operazione Avalanche, che per uomini e mezzi impiegati è seconda solo allo sbarco in Normandia. Gli anglo-americani assediano la città e compiono numerosi raid aerei nel tentativo di far crollare le difese tedesche. Il primo bombardamento subito dalla città avviene il 21 giugno alle 13 e15 ed è inatteso. È una giornata calda e soleggiata, la maggior parte dei salernitani si trova in spiaggia per cercare riparo dal caldo e dall’afa, quando improvvisamente si sentono suonare le sirene, ma non tutti cercano riparo, alcuni sono increduli, conoscono bene gli orrori della guerra, ma la guerra è altrove, lontana, non si combatte qui, non a Salerno. Durante la notte successiva, due diverse ondate di bombardamenti seminano terrore e morte in città.

Don Aniello Vicinanza, priore curato della Chiesa dell’Annunziata, annota sul “Libro dei battezzati” della sua parrocchia gli avvenimenti di quel giorno: “Oggi 21 giugno 1943, alle ore 13, la città di Salerno è stata oggetto di una spaventosa incursione aerea da parte dell’aviazione Anglo-Americana. L’incursione si è ripetuta la notte tra il 21 e il 22 giugno. Gli effetti di tutte e due sono stati spaventosi, vari edifici colpiti in città e nel sobborgo di Pastena, con qualche centinaio di morti e forse duecento feriti. La zona della Parrocchia della SS. Annunziata è rimasta miracolosamente illesa”. Saranno mesi difficili perché da quella notte in poi il rumore sorso delle bombe e sibilo delle sirene faranno da sottofondo.

L’arcivescovo di allora, Nicola Monterisi esorta i sacerdoti a non abbandonare le parrocchie, per essere di conforto e di aiuto ai fedeli. Anche quella notte settembrina, don Felice ha tenuto aperte le porte della Parrocchia di Santa Margherita e San Nicola del Pumpulo, nel quartiere di Pastena. I parrocchiani hanno bisogno di sapere che lui è lì, come sempre, pronto a offrire una parola di conforto, uno sguardo speranzoso.

Non desiderava essere un eroe, non desiderava si parlasse di lui, ma quella notte don Felice, appena trentaquattrenne, sarà l’eroe che la guerra non merita, ma di cui ha bisogno. Quegli uomini-eroi che decidono di perseguire la propria strada, aldilà dei pericoli e persino rischiando la propria vita. E la morte arriva puntuale. Un missile colpisce la canonica in cui i tre giovani erano riuniti, devastando gran parte della chiesa e ferendoli mortalmente. Consapevole del rischio a cui andava in contro, don Felice diceva di sé: “Se dovesse capitarmi qualcosa verrò ad aprirvi le porte del paradiso”.

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