La storia di Azzurra Cesario: «Lascio il posto fisso per fare il pane in Cilento»

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di Annarita Caramico

Azzurra Cesario è un vulcano di idee e storie da raccontare. Ha vissuto per dieci anni all’estero, in giro per l’Europa, lavorando presso alcune multinazionali. Un lavoro sedentario, alla scrivania, in ambito amministrativo. Un tipo di lavoro che non le faceva battere il cuore, non riusciva a connetterla con il suo sé più autentico, la faceva sentire ferma, quasi bloccata. Poi, nel 2020, il Covid. Lei e suo marito in quel periodo vivono in Irlanda. Ed è così, nel tempo libero dal lavoro, che Azzurra inizia a dedicarsi ad un’attività che l’aveva da sempre affascinata ma che non aveva mai approfondito: la panificazione. Fare il pane per lei è liberatorio, terapeutico, la fa sentire utile e la fa meravigliare di sé stessa. Insieme a suo marito decide di tornare in Italia e vanno a vivere ad Agropoli: qui Azzurra Cesario inizia a collaborare in un panificio, frequenta molti corsi per migliorarsi e continua a mettere le mani in pasta e sporcarsi, gioiosamente e faticosamente al tempo stesso, di farina. 

Ha lavorato, dopo gli studi in Lingue, in Francia, Svizzera, Spagna e Irlanda. Poi, però, ha deciso di tornare qui in Italia. Come mai?

“In un momento di forte incertezza e spaesamento causato dalla pandemia e dalle sue conseguenze, ho sentito la forte necessità del ritorno agli affetti familiari e alle mie radici.”

Ora vive ad Agropoli. Cosa la lega al Cilento?

“Le sue meraviglie, spesso celate da una schiva reticenza e dall’incuria, e il desiderio di contribuire affinché possa esprimere al meglio il suo grande potenziale.”

Dopo tanti lavori presso varie multinazionali, lavori d’ufficio, alla scrivania ha sentito il richiamo del lavoro manuale, del tornare a un tipo di attività antichissima e creativa e mettere le mani in pasta (letteralmente). Come è maturato in lei questo desiderio e questo cambiamento così radicale?

“Il mio lavoro mi faceva sentire inutile, nient’altro che un numero. Fare il pane mi ha restituito la dignità del lavoro e la gioia di creare qualcosa di buono, utile e importante. Qualcosa con una finalità pratica e tangibile. Mi ha fatta sentire utile.”

Com’è stato lavorare in un panificio? Cosa ha imparato?

“Mi è servito a comprendere la gestione del lavoro, le tempistiche di produzione e le modalità di realizzazione dei prodotti. Ho imparato ad essere più organizzata e ad affrontare tempestivamente gli imprevisti.”

Ha anche collaborato con il ‘Museo Vivente della Dieta Mediterranea’ di Pioppi, può raccontarci questa esperienza?

“Ho avuto la possibilità di raccontare la dieta mediterranea a persone provenienti da ogni parte del mondo, ciò mi ha riempita d’orgoglio per la mia terra. In occasione dei laboratori pratici, invece, ho insegnato a bambini e adulti i rudimenti della panificazione domestica. Abbiamo impastato tutti insieme in una grande “madia” di legno, come si faceva una volta. È stato bello vedere bambini coperti di farina formare con cura pagnotte e focacce, e adulti commossi rivivere ricordi d’infanzia attraverso quei gesti semplici e antichi.”

Fare il pane è creare da elementi ritenuti poveri e raggiungere un risultato semplice e ‘nobile’ allo stesso tempo. Cosa la affascina maggiormente nell’attività di panificazione?

“Il rapporto simbiotico che si instaura fra l’artigiano e i microorganismi unicellulari che rendono possibile la lievitazione. Il rispetto per la risorsa più preziosa, di cui siamo sempre più carenti: il tempo.”

Quali sono i suoi progetti per il futuro?

“Sogno di avere un panificio tutto mio. Mi piacerebbe offrire spunti per scegliere con maggiore consapevolezza il pane da portare in tavola, perché non sia solo un mero accompagnamento al pasto, bensì le sue fondamenta”.

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