“Teatro, cinema, doppiaggio, televisione: il minimo comune multiplo è la recitazione!”

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Versatile, preparata e sempre pronta a imparare: Ilaria Buonaiuto si racconta.

di Davide Bottiglieri

Giovane, sognatrice e appassionata. A Ilaria Buonaiuto non manca proprio nulla ed è pronta a calcare palcoscenici di prim’ordine.

Formazione continua e sempre più sfaccettata. È partita da Napoli, per poi specializzarsi attraverso corsi, workshop e masterclass con nomi importanti: Lello Arena, Luca Ward, Giancarlo Giannini etc. Quanto è importante per un artista avere la possibilità di interfacciarsi con professionisti di caratura internazionale e cosa le è rimasto da queste esperienze, oltre il bagaglio tecnico?

Sicuramente, dietro un grande Artista vi è sempre una grande persona. Recitare è una cosa, insegnare a recitare alle nuove generazioni di attori/trici e aspiranti tali è, forse, ancora più complesso: ammiro chi riesce a fare formazione ai giovani per vocazione, perché ha voglia di trasmettere loro qualcosa e perché crede realmente in loro, piuttosto che per mero guadagno economico dettato dal grande nome.

Chi più, chi meno, ha senz’altro aggiunto qualcosa al mio bagaglio personale, condividendo non solo il suo sapere e le sue conoscenze tecniche, ma il suo personale “materiale umano”, il che, forse, è ancora più prezioso. Stanislavskji diceva che l’attore, così come il danzatore o il cantante, non utilizza degli strumenti: è egli stesso il proprio strumento, con la sua voce, con ogni fibra del suo corpo, con le sue emozioni. Mi collego a questo concetto per dire che, al di là di qualsiasi scuola, insegnante o workshop (che ovviamente possono insegnarti come suonare in modo corretto il tuo personale “strumento”) sta a te, poi, creare la musica.

Per citare Lello Arena, che mi è entrato nel cuore con la sua dolcezza e la sua infinita umiltà: “da fan di Harry Potter, io ti posso procurare il calderone, le scope volanti ecc… ma la magia la devi fare tu!”

Dal teatro al cinema al doppiaggio, passando anche per la radio e un’esperienza in televisione: in cosa differiscono queste esperienze e cosa, invece, hanno in comune?

Sono dei linguaggi molto diversi tra loro, ma paradossalmente molto simili. Intanto, che sia cinema, teatro, doppiaggio o una serie televisiva, il minimo comune denominatore sta nella RECITAZIONE. Ci tengo a sottolineare questa parola, perché sento spesso dire: “Io voglio fare l’attore di cinema”, oppure, peggio ancora: “Voglio fare il doppiatore”, come se il cinema fosse una cosa completamente lontana dal teatro, o come se il doppiatore non fosse un attore. Preferisco che si dica “Voglio fare l’attore.” Poi, è ovvio che si possano avere dei settori di preferenza o dove ci si sente più portati, ma di base si deve (o dovrebbe) essere attori. E per diventare un buon attore, una buona attrice, si deve necessariamente partire dal teatro.

Sarà che io ho iniziato i miei studi proprio lì, ma credo che il Teatro sia la base della recitazione (Non a caso, la parola “attore” è l’anagramma della parola “teatro”). E rimarrà sempre il mio primo amore… sebbene, ahimè, non sia redditizio quanto gli altri settori, a meno che non si facciano tournée importanti.

Al cinema mi sono avvicinata qualche anno più tardi, anche se non ho ancora avuto l’occasione di partecipare a progetti di rilievo. Mi è stato utile studiare come si sta davanti ad una macchina da presa: venendo, appunto, dal teatro, mi sono dovuta “asciugare” un bel po’, sia a livello di voce, che a livello di movimenti del corpo ed espressioni facciali, perché la camera cattura tutto ciò che è “micro”, mentre a teatro necessiti di farti sentire e vedere bene anche dall’ultima poltrona dell’ultima fila.

Il doppiaggio è stato una scoperta super recente e devo ammettere che si è rivelato molto più difficile di quanto mi aspettassi: lì sei ancora più vincolato/a, non solo perché si esige una dizione perfetta, ma anche e soprattutto perché ha già recitato un’altra persona al posto tuo, ed è lì, sullo schermo. Il tuo compito è quello di dare un’interpretazione in lingua italiana che però sia perfettamente fedele alle intenzioni dell’opera originale, saper “incollarti” al volto, agli occhi, a ogni movimento e respiro dell’attore straniero. C’è tutto un lavoro fisico pur stando in piedi davanti ad un leggio e al buio, perché corpo e voce sono perfettamente collegate tra loro. Bisogna avere le “chiappe strette”, insomma.

La radio è venuta poco dopo, e mi sono divertita molto a condurre una piccola trasmissione in cui introducevo un argomento per poi recitare un pezzo su quell’argomento, per poi lanciare sempre un messaggio o una riflessione finale agli ascoltatori. Avendo già una piccola esperienza di presentatrice e un buon livello di dizione, mi trovavo molto a mio agio nei panni da speaker.

“Viva il Videobox” invece è stata la mia prima esperienza in tv, dove mi sono messa in gioco con un pezzo teatrale adattandomi al format televisivo: spero che possa diventare una vetrina per artisti emergenti o sconosciuti come me…ma,in ogni caso, non potevo rinunciare allo spin-off della trasmissione del mitico Fiorello!

La bravura di un’attrice risiede nel riuscire a vestire nel miglior modo possibile i panni consegnati dal regista, superare quel confine che divide l’interpretare qualcuno e l’essere quella persona. Se nel grande armadio dei ruoli e delle personalità potesse scegliere liberamente, quale abito prenderebbe per lei? Quale ruolo sogna di interpretare?

E’ una gran bella domanda. Ho affrontato molto spesso ruoli da caratterista, tendenzialmente sul brillante, perlopiù spalle comiche di altri personaggi principali. Non mi dispiacerebbe affatto, quindi, mettermi in gioco su qualche personaggio drammatico e psicologicamente più complesso, inoltre per quanto riguarda il teatro mi piacerebbe affrontare qualche grande classico come Shakespeare, Cechov o Pirandello, magari stavolta da protagonista.

Altro piccolo sogno nel cassetto sarebbe quello di affrontare più ruoli nel mio dialetto, sebbene io non abbia le caratteristiche fisiche, i lineamenti e i colori di una donna partenopea.

Mi hanno spesso affidato ruoli in dizione, o comunque da “borghese”: mi divertirei tantissimo nell’interpretare una napoletana verace, perché è qualcosa di completamente lontano dalle mie corde. Oppure, per tornare al tema classici, sarebbe bello qualcosa di Eduardo, per esempio.

Nel 2021 ha ottenuto un riconoscimento in occasione della IV edizione del concorso “Il nostro personaggio in scena”
con “Lovedown”. Com’è stato curare una regia?

Premetto che “Lovedown” è stato un enorme lavoro di squadra, essendo quest’ultima una performance di teatro-danza. Senza i danzatori che ho coinvolto, Domenico Petti e Giorgia Maiorana, che sono stati eccellenti, tutto questo non sarebbe stato possibile. Sono stati molto bravi nel carpire il mood che stavo cercando, infatti le coreografie le hanno inventate completamente loro, adattandosi sulle musiche che avevo scelto e sul monologo che avevo scritto. Monologo che ho buttato giù in un periodo che è stato triste per tutti, quello della pandemia da Covid-19. Reclusa in casa per quasi un anno e mezzo, senza il mio teatro, stavo letteralmente impazzendo. In più, si era aggiunta una cocente delusione sentimentale, per cui avevo immaginato come sarebbe stato vivere il periodo della pandemia e soprattutto il post-pandemia se fossi stata ancora impegnata con quella persona. Ho immaginato che il vero “lockdown” non fosse tanto il distanziamento sociale che ci era stato imposto, quanto piuttosto le distanze dettate dal nostro orgoglio personale, dai preconcetti- spesso sbagliati- che ci facciamo su una persona che crediamo di conoscere bene, e, più in generale, dalla nostra incapacità di comunicare i sentimenti (e da qui, è nato anche il titolo). Però sentivo che il solo monologo non bastava: immaginavo questi due ballerini con le mascherine, quasi dei mimi, che altro non erano che una proiezione mentale di un’innamorata ferita. L’esperimento è stato quello di conciliare il loro linguaggio del corpo e il mio della parola, e cercare di interagire con loro quanto più possibile per dare un fil rouge a tutta la storia, ora richiamando il “flashback” sulle note della “Primavera” di Vivaldi, ora alla dimensione onirica, sulle note del “Notturno” di Chopin. Ho dato a Giorgia e a Domenico soltanto delle indicazioni di massima sugli stati d’animo dei loro personaggi e sui momenti salienti della storia, e devo dire che ci sono riusciti perfettamente. Abbiamo montato tutto nel mio giardino con pochissime prove e siamo arrivati al terzo posto della categoria Over, una serata indimenticabile!

Come emergere in un settore saturo come quello attoriale?

Se mai doveste scoprirlo… spiegatelo anche a me!

Scherzi a parte, è un tasto un po’ dolente. Sono almeno 10 anni per me di studi, di sacrifici e di gavetta… in questi anni, ho messo completamente da parte una laurea in Giurisprudenza, ho rinunciato al tanto ambito “posto fisso” a differenza di tanti coetanei. Vedo i miei vecchi compagni di scuola che si sistemano lavorativamente, mettono su famiglia ecc., cosa che io al momento non potrei fare perché non sono mai davvero emersa: sto solo cercando di non annegare.

Intanto, gli anni passano ed è sempre più difficile. Spero che prima o poi lo Stato italiano capisca che questo è un mestiere come tanti altri e non un hobby, che chi fa l’artista non è una persona che “perde tempo”, ma un vero professionista che studia per fare bene quello che fa, e che non si deve per forza diventare famosi per essere considerati degli attori e riuscire a vivere di questa professione. Ma il focus del problema è proprio questo: o sei famoso/a, o fai la fame. Quando molto spesso notorietà e bravura non vanno di pari passo. A questo proposito, apro una triste parentesi su youtubers, tiktokers e influencers senza alcuna competenza (né talento, infatti non capisco perché si chiamano “talent”) che fanno film, si improvvisano al doppiaggio e fanno sold out nei teatri, e c’è chi glielo permette solo perché portano più soldi, a discapito della qualità. Ma questo non vale solo per la recitazione, vale un po’ per tutto il settore spettacolo, per l’Arte in generale.

Però, abbiamo un paradosso, e cioè che se non sei uno di questi “fenomeni”, allora ti si richiede: un diploma di un’Accademia nazionale riconosciuta (anche questa storia che la formazione “pubblica” non sia accessibile a tutti è un vero e proprio cancro in questo settore) l’aver già preso parte a film e serie tv, un talento straordinario nel canto, nella danza, nella regia, nella drammaturgia, la conoscenza della lingua inglese, francese, cinese, chicchinese ecc. A volte, ti chiedono le cose più assurde durante i provini, inoltre vi sono dei requisiti di partecipazione a questi ultimi che definire discriminatori è poco.

Spero che tutti i professionisti dello spettacolo (non solo gli attori) possano avere una maggiore tutela dal punto di vista giuridico e in fatto di aiuti economici, che lo Stato non si dimentichi dei piccoli teatri, delle piccole produzioni, delle piccole compagnie e del cinema indipendente, permettendo a chi ci lavora di avere i contributi regolarmente pagati, le prove retribuite, rimborsi spese e un cachet quanto più dignitoso possibile. Che non mangino sempre gli stessi e che ci sia un po’ più di meritocrazia.

Dove sarà Ilaria tra cinque anni?

E chi lo sa… magari sul set della settima o ottava stagione di Mare Fuori o di un film con qualche pezzo grosso del cinema come Favino o Castellitto, oppure in sala doppiaggio a prestare la mia voce a qualche principessa dell’ennesimo live action della Disney, o magari nella prossima commedia di Salemme in giro nei teatri…! Sognare non costa nulla.

E, se proprio devo dire qualcosa di meno ambizioso, direi a fare spettacoli con una compagnia teatrale tutta mia, o a tenere laboratori di recitazione nelle scuole.

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