Il flop dell’Agenda Draghi e gli errori del Pd

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di Andrea Pellegrino

Il voto degli italiani, al di là della consistente astensione, è stato chiaro: hanno perso i partiti della cosiddetta unità nazionale, quelli che hanno sostenuto i tecnici al governo e quelli che ancor di più volevano una riconferma di un tecnico al Palazzo Chigi. Alla fine dell’agenda Draghi sono rimaste pagine bianche e l’esperimento dei tecnici, può (speriamo) concludersi qui.

Gli italiani hanno scelto chi è rimasto sempre dalla stessa parte, rispendendo al mittente ogni proposta e lusinga giunta nell’ultima e strana legislatura. Un voto inequivocabile contro chi ha governato e naturalmente bocciando in primis i suoi vertici.

L’Italia potrebbe avere una donna come presidente del Consiglio. La prima, nel primo Parlamento dimezzato e durante la prima elezione che ha visto anche i diciottenni (purtroppo pochi) esprimersi anche per il Senato della Repubblica. Una donna di destra che ha un lungo percorso politico alle spalle e che ha portato il suo partito dal 4 per cento al 26.

Naturalmente la strada è stretta e la vittoria è segno anche di errori clamorosi compiuti da chi è stato più abituato a governare senza meriti che riconquistarsi la fiducia degli elettori, senza supremazie o rendite di posizioni.

Letta – che ora annuncia che non si ricandiderà alla guida del Partito democratico – ha sbagliato prima, durante e dopo, cercando di marcare più quella paventata superiorità morale che contenuti e programmi. Il Movimento 5 Stelle, nonostante la scissione e i problemi interni, ha mantenuto parte del consenso, soprattutto in Campania che si conferma una sua ‘roccaforte’. Reddito di cittadinanza sicuramente ma anche una serie di iniziative che sono state messe in campo durante gli anni del governo. Insomma un programma comunque c’era nello schieramento di Conte.

L’esperimento di Luigi Di Maio non ha funzionato e il suo “Impegno Civico” è rimasto a bocca asciutta. Ma ancor prima il ministro degli Esteri battuto dal grillino (ex ministro) Sergio Costa. Dunque, quel che avrebbe dovuto rafforzare Draghi e il suo governo, con una improvvida scissione, ha distrutto (politicamente) sé stesso e i suoi seguaci.

Non va meglio agli ex forzisti, e tra tutti Mara Carfagna che proprio nel collegio di Di Maio si pone in coda. Perde anche Luigi de Magistris, così come Gianluigi Paragone.

E De Luca? I dati anche per il governatore della Campania sono abbastanza netti. Il Partito democratico ha retto nella sua Salerno città ma non abbastanza per far eleggere il suo vice Fulvio Bonavitacola, fermato da Pino Bicchielli. Così come l’apparato deluchiano non ha retto per Cascone e Lanzara, candidati sugli uninominali in provincia e per Anna Petrone, candidata al Senato. Naturalmente nessun problema per Piero De Luca, blindato sul proporzionale e che ritorna, senza difficoltà tecniche, a Montecitorio. Resta, comunque, il dato aritmetico che svuota di non poco il tesoretto elettorale deluchiano e colora tutta la provincia di azzurro e la regione di giallo – azzurro, nonostante lo stesso governatore (d’intesa con Letta) abbia scelto i candidati sui territori. Ma ora De Luca giocherà prima di difesa e poi di attacco: accusando Letta e il Pd e semmai tentando una scalata nazionale al Nazareno.

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