«A Delio Rossi devo la scelta di diventare allenatore»

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Otto campionati non si dimenticano così facilmente. Ti entrano nella pelle, nella testa, fanno di te una bandiera. Roberto Breda è sicuramente il calciatore più rappresentativo di un secolo di storia granata.

Oggi allenatore, Breda ha giocato gran parte della sua carriera calcistica all’ombra dell’Arechi, vincendo due campionati e vivendo successivamente, vestiti i panni da tecnico, una delle stagioni più romantiche degli ultimi decenni. Capitano di successi e fallimenti, Breda racconta aneddoti e visioni calcistiche sulla Salernitana di ieri e di oggi.

L’approdo in granata ha letteralmente cambiato la sua carriera…

«Arrivai a Salerno in punta di piedi, era il novembre del 1993. Provenivo dalla Sampdoria, giocai i primi mesi a Genova prima di approdare alla corte di Delio Rossi. Renzo Castagnini mi telefonò per sondare la mia disponibilità al trasferimento. In quegli anni la Salernitana era una succursale del Foggia. L’approccio fu quello giusto fin dall’inizio: il gruppo si amalgamò in un momento di difficoltà societario. La Salernitana aveva ringiovanito la rosa rispetto agli anni precedenti, puntando su tanti giovani di qualità. Lo stesso Rossi era un tecnico emergente».

Com’era il rapporto con Delio Rossi?

«Mi sono accorto dai primi allenamenti che era preparatissimo, ha grandi qualità ed è un profondo conoscitore di calcio, meticoloso. Era l’allenatore più bravo che avessi incontrato sulla mia strada. Con lui la squadra è cresciuta. È stato un esempio per me, devo a lui la mia formazione. Aveva una metodologia, una capacità di trasmettere le cose nettamente migliore rispetto a tanti altri. È stato lui a farmi maturare l’idea di sedere su una panchina».

Che gruppo era quello degli anni ’90? Come fece ad ottenere determinati risultati?

«Eravamo una squadra affiatata. C’era una bellissima atmosfera. La figura di riferimento per noi era sicuramente Claudio Grimaudo. Alleggeriva i carichi di lavoro con la sua simpatia: correvamo tantissimo ogni giorno ma con lui ci sentivamo leggeri e sempre liberi mentalmente per affrontare l’allenamento successivo. Era fantastico. Io mi tengo in contatto ancora oggi con tanti di loro: Mauro Facci, Pietro Strada, Carlo Ricchetti».

Un suo gol ha deciso un derby storico al Partenio.

«Era il 20 febbraio del 1994. Certamente è stata una cosa molto forte e particolare. Io non ho mai segnato tanti gol, fare il primo con la maglia granata, in quella partita specifica, logicamente mi emozionò tantissimo. Lo striscione che portarono in giro per l’Italia mi fece comprendere l’importanza della posta in palio. Credo che quella vittoria abbia rappresentato una svolta per quel gruppo. Ci ha fatto prendere consapevolezza dei nostri mezzi».

La promozione in serie A ha rappresentato il punto più alto della sua carriera…

«Mi preme anzitutto ricordare quanto successe nel ’98, con l’alluvione che colpì Sarno causando parecchi morti. La festa non è mai stata vissuta in maniera piena, perché gli avvenimenti extracalcistici, più importanti, hanno messo in secondo piano i successi sul campo. Io ho legato con il territorio, la Salernitana ha rappresentato l’apice della mia carriera e sono arrivate tantissime soddisfazioni. Facemmo un campionato importantissimo, con il record di punti della categoria. Ebbi un sacco di richieste anche dalle squadre di A, ero uno di quelli che giocavano sempre».

Cosa accadde invece nel 2005? 

«Fu molto strano quel campionato. L’ambiente era sereno. Non ci saremmo mai aspettati il fallimento della società. Dal punto di vista dei pagamenti e tutto il resto la situazione era positiva. Non avvertivamo una brutta atmosfera. Il problema fu più che altro con i vari adempimenti fiscali. Si entrò in uno strano meccanismo. Sul campo non abbiamo mai avuto paura, eravamo convinti andasse tutto bene».

Breda ha guidato la squadra, oltre che sul campo, anche dalla panchina…

«Tranne che per il finale di stagione fu una bellissima esperienza. Erano tutti grandi professionisti. Il fallimento era però nell’aria già mesi prima della fine del campionato. C’erano diversi giocatori che avanzavano stipendi arretrati. Però il gruppo si è unito di fronte alle difficoltà. Il concetto base era non trasmettere le difficoltà extracalcistiche dentro il rettangolo di gioco, determinare i risultati che era l’unica cosa che avremmo potuto fare. Provare a vincere avrebbe spinto investitori a puntare sulla Salernitana».

Oltre al campo Breda si è inserito nel tessuto cittadino grazie alla nomina ad assessore.

«È stata un’esperienza molto formativa. Vivi la città sotto altri aspetti, più umani e vicini alle esigenze della gente. Capisci che non c’è solo il calcio ma anche altre realtà ugualmente importanti sotto il profilo sociale. Un modo per entrare e leggere le varie situazioni sotto altri punti di vista».

(mat.mar.)

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