Antonio Palma, una vita spesa in teatro.

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L’attore si racconta tra un progetto cinematografico e un impegno teatrale

di Davide Bottiglieri

La vita dell’attore è una vita di frenesia, di ritmi impossibili, di creatività, estro e un pizzico di follia. Antonio Palma, in arte Tony Palma, calca palcoscenici da decenni e lo fa con la stessa passione di sempre. Nato artisticamente a Napoli, ha saputo sapientemente modellare il suo bagaglio culturale per affaccendarsi con fiducia e competenza tra progetti cinematografici e impegni teatrali. Una passione, la sua, che lo ha portato in scena all’interno di teatri importarti, come il Bellini o il Diana a Napoli, o su set prestigiosi come quello del film su Bartolo Longo, oppure diretto da registi del calibro di Luca Guardabascio. Una vita dedicata alla recitazione, insomma, ma non solo, vista l’esperienza più che ventennale come aiutoregista della compagnia teatrale di Maurizio Merolla.

– Come e quando hai capito di voler fare l’attore?

Ho capito che fare l’attore sarebbe stata la mia strada quando, all’età di quattordici anni, incontrai per caso un’associazione teatrale a Napoli. Di lì, il regista e direttore del centro vide in me delle buone qualità e poi iniziai a frequentare scuole di recitazione che mi hanno reso l’attore che sono.

– Dal teatro al cinema. Quali differenze hai trovato e quali punti in comune?

In alcune cose le differenze sono sostanziali, in altre sottilissime. Di certo nel teatro è richiesta una memoria maggiore, visto che è tutto dal vivo e guai a dimenticare una battuta. Nell’ambito cinematografico questo pericolo si corre di meno, perché si può guardare e verificare una battuta anche in scena. Altra differenza importante sono gli spazi: il palcoscenico del teatro costringe l’attore a spazi ben più ristretti. Di certo la formazione teatrale aiuta molto nel cinema, in cui il movimento è più fluido.

– Ogni volta che vai in scena devi indossare i panni di un nuovo personaggio. In questo senso, un attore deve essere camaleontico. Come ti prepari per essere quanto più fedele alla caratterizzazione delineata dallo sceneggiatore?

Ti dirò, ogni volta che vado in scena cerco di fare miei i panni dei personaggi che interpreterà. Ognuno si prepara a modo suo, e anche io ho i miei metodi. Rendo il personaggio più simpatico agli occhi dello spettatore, sempre attenendomi alle regole e alle indicazioni del regista.

– Cinema e teatro, negli anni, hanno subito un’evoluzione anche in coerenza con le nuove tecnologie. Anche il ruolo di attore si è modificato nel tempo?

Cinema e teatro hanno subito evoluzioni parallele. Il teatro prima era un habitat molto chiuso, quasi segretato, non c’erano tanti congegni televisivi che potevano creare una buona pubblicità. Anche l’atteggiamento dell’attore del teatro era diverso rispetto a quello impiegato sui set cinematografici. Adesso la pubblicità, le tecnologie e i social hanno permesso a entrambi i settori di viaggiare insieme e l’attore stesso subisce di meno il passaggio dal un ambiente all’altro.

– Una delle tue ultime esperienze lavorative ti ha visto protagonista al Festival Internazionale del Cinema di Salerno. Si usa dire “Nemo profeta in patria”. Raccontaci l’esperienza e l’emozione che hai provato nel veder riconosciuto il tuo lavoro proprio in terra salernitana.

Ho partecipato al progetto cinematografico “My Life”, con la regia di Marco Zollo e con Brunella Alberini autrice, proiettato al Museo Diocesano di Salerno in occasione del Festival Internazionale del Cinema di Salerno. Sono stato felice di essere presente nella giornata della visione del corto. Fa sempre piacere ricevere riconoscimenti in Campania e condividere questi momenti con persone validissime e di grande professionalità.


– Quando ti si potrà vedere nuovamente in scena?

Sono impegnato in diversi progetti interessanti che stanno prendendo forma. Tra un mesetto dovrei calcare nuovamente il set qui in Campania. Poi, si sa, la vita dell’attore è imprevedibile e può sempre saltare fuori una telefonata che mi porterà fuori!

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