Il dramma delle donne incinte positive al Covid: ancora poche vaccinate e un solo punto nascita Covid non basta più

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di Martina Masullo

Ogni emergenza porta con sé degli effetti collaterali più o meno trascurabili. L’aumento dei contagi da Covid degli ultimi mesi sta portando alla luce una situazione che, se si mettono insieme i pezzi come in un puzzle, non può far altro che spaventare e non poco. Ogni giorno, da tutta Italia, giungono notizie di donne in gravidanza positive al Covid costrette a partorire bambini prematuri, anch’essi positivi, per cercare di salvare la vita a se stesse e ai loro figli. Troppo spesso queste donne non ce la fanno, troppi neonati muoiono per Covid. Nella stragrande maggioranza dei casi queste donne non sono vaccinate. In alcuni casi si tratta di novax convinte che scelgono consapevolmente di non vaccinarsi, in altri casi queste donne si affidano al proprio ginecologo che consiglia loro di non vaccinarsi in gravidanza. In entrambi i casi, sarebbe necessario un lavoro di rassicurazione basato proprio sul rapporto di fiducia che la donna incinta instaura col proprio medico e non sottovalutare la situazione. Ma, dopo tre anni di pandemia, perché ci sono ancora così tanti dubbi sulla sicurezza del vaccino in gravidanza? In questo caso, se si fa riferimento a quel discorso tanto rinomato sui “rischi” e i “benefici”, si può affermare con certezza che i secondi superano, di gran lunga, i primi?

“Il vaccino va fatto anche in gravidanza, al secondo trimestre – ha dichiarato il Dottor Mario Polichetti, ginecologo, vicesegretario regionale e responsabile nazionale della sanità per l’Udc – perché, al contrario, si mette a rischio tutto: sia la donna che il bambino. I medici che consigliano alle proprie pazienti di non vaccinarsi non si comportando da medici, purtroppo siamo ancora trent’anni indietro su questo”.

Parliamoci chiaro: la gravidanza è un momento delicato, sia dal punto di vista fisico che dal punto di vista emotivo e psicologico e il ginecologo, spesso, diventa per la donna un vero e proprio punto di riferimento. Cosa succede, dunque, se colui che dovrebbe guidare una donna in uno dei viaggi più importanti della sua vita, soprattutto in un periodo così delicato, decide che sia meglio evitare il vaccino? Che si mette a rischio la vita di mamme e nascituri.

“Quando si arriva all’hub vaccinale – ha spiegato la Dottoressa Anna Borrelli – i medici non chiedono alle partorienti un documento del proprio ginecologo che li autorizzi a fare il vaccino”. Insomma, le donne possono decidere in autonomia – anche se il proprio medico non è d’accordo – di sottoporsi alla vaccinazione anti Covid, al secondo trimestre di gravidanza. Ma, in alcuni casi, la paura di far male al bambino può sovrastare e immobilizzare una mamma, ci si può convincere che sia meglio attendere piuttosto che vaccinarsi e si porta avanti la gravidanza rimandando il vaccino. “Il vaccino anti Covid – ha continuato la Borrelli – è assolutamente indicato in gravidanza, al terzo trimestre, e in molti casi è una carenza dei ginecologi che se donne incinte scelgono di non vaccinarsi”.

Un altro problema – se di problema si può parlare, piuttosto si tratta di una grave e inaccettabile carenza del nostro sistema sanitario – è l’insufficienza di punti nascita Covid nella provincia di Salerno.

Attualmente, a Salerno, c’è un unico punto nascita per le donne positive al Covid-19 e si trova a Vallo della Lucania ed è il Presidio Ospedaliero San Luca. Decisamente poco centrale e difficilmente raggiungibile, ad esempio dal centro città, ma ancor di più dalla parte più a nord di Salerno.

Una donna incinta e positiva, teoricamente, dovrebbe arrivare all’Ospedale di Vallo della Lucania per poter partorire in tranquillità ed avere la certezza di entrare in una struttura che sia capace di affrontare le complicazioni e i disagi a cui il Covid costringe.

“Il fatto che ci sia un solo punto nascita covid a Vallo della Lucania è inaccettabile – ha spiegato, ancora, Polichetti – Bisognerebbe aggiungerne uno a nord della provincia, a Sarno ad esempio, per consentire alle pazienti di potersi spostare con più facilità. I casi di partorienti positive al Covid cominciano ad aumentare visto il dilagare del contagio, il problema si pone e va risolto in tempi brevi”.

Attualmente, l’Ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno – che sarebbe un ottimo punto di riferimento per le nascite a rischio Covid– non può essere riadattato “perché non ci sono i percorsi necessari, si tratta di una struttura vecchia” come ha detto Polichetti.

L’Ospedale di San Leonardo, infatti, ad oggi conta circa 1800 parti all’anno e rappresenta un punto di riferimento importante anche per tecniche innovative e all’avanguardia: dalle proposte di metodi analgesici alternativi, passando per libertà di movimento che ostetriche e infermiere offrono alle partorienti durante il travaglio e il parto, fino alla cura e alle attenzioni che il personale sanitario offre alle proprie pazienti, di qualsiasi situazione si tratti.

“In questo momento – ha detto la Dottoressa Borrelli – al Ruggi accogliamo anche le donne gravide e positive al Covid perché arrivano in Pronto Soccorso e spesso non c’è tempo per trasferirle altrove. Le isoliamo in stanze apposite e anche quando non c’è tempo di effettuare un tampone o in attesa del referto il personale sanitario si comporta come se avesse a che fare con un caso accertato”.

È chiaro che, per una struttura ospedaliera che non è attrezzata per questo, accogliere pazienti positive e approcciarsi ad una esperienza così delicata come il parto è ancora più complesso. Ma questo avviene lo stesso e se non ci sono complicazioni la donna può anche vedere il bambino ed entrambi possono essere dimessi dopo tre giorni perché – come sottolinea la Borrelli – “si può allattare anche se si è positive” in quanto il virus non si trasmette attraverso il latte materno.

Detto ciò, è evidente che dovendo affrontare tali imprevisti sanitari, tutti i progetti che gravitano attorno ai reparti di ostetricia e ginecologia sono stati messi in pausa e rimandati a tempi migliori. E proprio perché uno dei rischi collaterali del Covid è proprio quello di tralasciare altre patologie, visite e diagnosi individuare e aprire al pubblico almeno un secondo punto nascita Covid sul territorio salernitano risulta ancora più fondamentale. 

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