Io sono l’abisso: un thriller importante

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Approda su Netflix il terzo adattamento dei romanzi di Carrisi

di Gianluca Adesso

In Italia una donna muore ogni tre giorni per la sola colpa di essere donna. Questi i preoccupanti dati pubblicati qualche settimana fa dal Viminale e che attestano che il 2022 appena trascorso è stato l’ennesimo anno insanguinato, conclusosi con numeri alti, altissimi, a dispetto di giornate dedicate alla sensibilizzazione contro la violenza sulle donne.

È proprio questo tema così attuale il punto nevralgico attorno al quale si snoda l’intera trama di “Io sono l’abisso”, film di Donato Carrisi tratto dal suo omonimo romanzo. Il talentuoso scrittore, sceneggiatore e regista martinese non è nuovo a questi adattamenti: ha infatti diretto nel 2017 “La ragazza nella nebbia”, tratto dal suo omonimo romanzo e con cui ha vinto un David di Donatello 2018, e nel 2019 “L’uomo del labirinto”, anche questo tratto dal suo libro pubblicato due anni prima con Longanesi. “Io sono l’abisso” è dunque la terza pellicola di Carrisi. Uscito nelle sale lo scorso ottobre, il film è stato reso finalmente disponibile all’interno del catalogo di Netflix, approdo ormai fisiologico delle distribuzioni cinematografiche, che attraverso lo streaming e l’homevideo possono garantire ai film una seconda vita. La pellicola, della durata di centoventicinque minuti, è un thriller che segue le vicende di tre protagonisti senza nome: un netturbino, una ragazzina con un ciuffo viola e “la madre”. Il netturbino è un uomo dall’infanzia traumatica che di notte, sotto la falsa identità di Mickey, adesca prostitute sopra i sessant’anni per ucciderle. Un giorno, sulle rive del lago di Como, salva una ragazzina che sta affogando, fuggendo dalla scena dopo averla rianimata. La ragazzina, con un ciuffo di capelli colorato di viola, proviene da una famiglia ricca ma assente. Ha tentato di suicidarsi per sfuggire alle pressioni di un suo coetaneo, che la costringe a prostituirsi minacciando di diffondere sue foto intime. Sulla strana vicenda indaga “la madre”, donna il cui passato è segnato da un tragico evento e che tenta di aiutare le donne vittime di abusi, venendo però bollata da tutti come pazza. Le vicende dei tre coprotagonisti si intersecheranno in intrecci dai gusti tragici e oscuri. È proprio nei rapporti fra i personaggi e nei dialoghi che la maestria di Carrisi tocca il suo culmine artistico: questi, infatti, tengono alta la tensione e instillano nello spettatore la voglia di scoprire di più. Anche la fotografia risulta essere funzionale, trasmettendo costantemente a chi osserva il senso di oscurità che opprime i personaggi. Curiosa la scelta di ridurre all’osso le colonne sonore, nel tentativo di suggestionare lo spettatore con i soli suoni ambientali, annullando di fatto le tracce musicali, eccezion fatta per l’emozionante finale, qualche flashback e le scene girate nei nightclub. L’intuizione di Carrisi, sebbene coraggiosa e comprensibile, risulta poco funzionale, in quanto sposta l’ago della bilancia in un film già caratterizzato da temi e ambienti di una certa pesantezza, aggiungendone ulteriormente il carico. Pesantezza che, tra l’altro, è accentuata dalla scelta registica di occupare la prima delle due ore di pellicola per una esaustiva presentazione dei tre personaggi, risultando un difficile scoglio da superare per giungere alla parte più intrigante del film. Alcune scene, inoltre, appaiono fin troppo forzate, lascito probabilmente di una narrazione indovinata per un romanzo, ma manchevole in alcuni punti per il grande schermo. Va segnalata, infine, una piccola nota stonata relativa all’utilizzo dell’ambientazione: suggestivo e idealmente coprotagonista, il bellissimo lago di Como non è in realtà sfruttato abbastanza e risulta essere solo un elemento di sfondo. Queste sbavature, innegabili, non bastano però ad eclissare l’abilità con cui Carrisi ha portato in scena il tema della violenza sulle donne. Ognuno dei protagonisti, infatti, esamina la questione da un punto di vista differente e la sviscera con l’evolversi degli eventi e grazie al rapporto con gli altri due. È proprio questo a fare di “Io sono l’abisso” un film degno di nota e meritevole di visione, un film che esamina un problema importante della nostra società senza incorrere in cliché o spiacevoli cadute di stile. Un problema che l’autore evidenzia con l’efficacia della settima arte, lasciando al pubblico le giuste riflessioni, sussurrate attraverso la maestria della sua penna e della sua regia, suggerendo che il male è sì un cerchio, ma che spetta a noi il compito di spezzarlo.

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