L’importanza della digitalizzazione per le PMI e per gli studi professionali

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di Andromeda Di Filippo
La rivoluzione digitale esplosa con la nascita e la diffusione delle Information and Communication Technologies (ICTs ) è caratterizzata dalla capacità di penetrare in ogni ambito della vita umana: dalla connettività che consente miglioramenti nella qualità della vita delle persone, alla domotica che offre l’opportunità di rendere gli ambienti a misura d’uomo, all’intelligenza artificiale che garantisce una gestione ottimizzata di tutti i processi aziendali, sia dal punto di vista produttivo che amministrativo e lavorativo. Il processo di trasformazione digitale, inteso come utilizzo delle nuove tecnologie digitali per migliorare il business aziendale, appare, tuttavia, procedere piuttosto lentamente nelle PMI Italiane.
I dati diffusi dall’Istat con il Report del 13 agosto 2020 mostrano come i due terzi delle imprese italiane sono classificabili come “indifferenti” alla digitalizzazione dei processi produttivi, ritenendo l’Ict poco rilevante ai fini della propria attività. Viceversa, solo il 3% sono quelle aziende che possono essere definite “digitali compiute” cioè ad alto capitale umano e fisico ed alta digitalizzazione. Il problema è da riscontrare nel fatto che le PMI concentrano i loro investimenti soprattutto su progetti tesi alla digitalizzazione dei processi di base, come per esempio la contabilità, con l’obiettivo di ridurre costi e tempi, ma non comprendono l’importanza nel lungo periodo di investimenti più lungimiranti e strategici. La vera svolta verso un’Industria 4.0 che coniuga tecnologia, automazione ed intelligenza artificiale, può nascere solo da una nuova consapevolezza per cui l’integrazione in chiave digitale deve riguardare tutti i settori aziendali. Digitalizzare non significa impropriamente liberare dei documenti cartacei le scrivanie, ma soprattutto adattare i processi produttivi ed operativi alle nuove esigenze dei propri clienti, ispirandosi ad una gestione “data driven”. Non è un caso che il PNRR destini 40,32 miliardi al pilastro della “digitalizzazione, competitività e cultura” e precisamente 13,38 miliardi di euro per la Transizione 4.0 che ha l’obiettivo di spingere l’innovazione digitale del Paese, sostenendo le infrastrutture e l’evoluzione dei processi produttivi delle aziende per favorire la filiera del Made in Italy. Il networking, la rete, il tessuto associativo, le sinergie, la condivisione delle competenze sono i nuovi asset che consentono alle PMI di essere attrattive e competitive su un mercato sempre più internazionale e privo di confini. Ma la digitalizzazione è chiave di crescita anche negli studi professionali. Una recentissima analisi commissionata da Confprofessioni a The European House – Ambrosetti sul mondo professionale lascia emergere il ruolo cruciale della tecnologia nel processo di cambiamento a cui gli studi professionali sono destinati: la sfida alla realizzazione della transizione digitale è impegnativa e necessita di una spinta interna al cambiamento nonchè della creazione di adeguati meccanismi e strumenti di regolamentazione ed incentivazione. Agire in digitale è una delle scelte più acute per essere competitivi in un mondo complesso e veloce come quello attuale. Ma è superficiale pensare che l’innovazione digitale sia esclusivamente tecnologica: è, invece, prima di tutto valore umano. “La condivisione e la cooperazione portano il capitale sociale ad avere un’importanza pari al capitale finanziario, la libertà di accesso prevale sulla proprietà, la sostenibilità soppianta il consumismo, la cooperazione sostituisce la concorrenza” così Jeremy Rifkin spiega come la digital transformation possa essere uno straordinario volano di incremento di produttività, crescita e modernizzazione del Paese.

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