Lirico, introspettivo e profondamente nero: l’inedito Cassone piace anche così!

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Con il suo ultimo romanzo, Le predestinate, lo scrittore pugliese sperimenta e affascina.

di Davide Bottiglieri

Che non fosse totalmente estraneo alle tinte nere, Dino Cassone, ce l’aveva fatto capire già nel 2016, con La bugiarda (Les Flâneurs Edizioni), romanzo complesso e dai toni non proprio leggeri. Tuttavia, almeno in ambito editoriale, il buon Dino ha iniziato ad abituare il lettore a una scrittura ironica, squisitamente irriverente, al pari delle brillanti presentazioni che hanno reso Un gelato buono da morire (2018) e Aperitivo fatale (2021) delle autentiche esperienze, più che semplici letture. Eppure Cassone è un vulcano di creatività che mai potrebbe vedere fasi di ristagno. Che sia per stile o per storie. E così consegna al pubblico Le predestinate (Les Flâneurs Edizioni), un romanzo che è un pugno nello stomaco per quanto è bello e doloroso allo stesso tempo. Di cosa parla? Di destino. Ma il destino è una faccenda personale o riguarda il percorso di un’intera famiglia? Questa è la domanda che assilla Sole, protagonista e voce narrante del romanzo, mentre ci introduce nel microcosmo domestico che ha creato con le sue sorelle. Da qui ricostruisce la loro storia: a partire da un’infanzia di stenti, resa ancor più dura dall’indole “severa” (per usare un eufemismo) del padre, fino all’apice dell’ascesa sociale, grazie al Circo Lazar in cui le sorelle diventeranno famose come “le Sirene dalle chiome di fuoco”. Ma neanche la notorietà riuscirà a proteggerle dalla maledizione che aleggia sulle loro vite. Crisi sentimentali e tracolli finanziari, lutti e sconfitte, contrasti e rancori si susseguono in una concatenazione di eventi che rimanda a un disegno fatto della stessa materia delle stelle. Un’appassionata saga familiare scritta in forma di diario, che, esplorando tutte le sfumature della sorellanza, indaga il rapporto fra predestinazione e scelte individuali.

– Un romanzo profondamente diverso dai suoi precedenti. Solo un esperimento narrativo o l’ennesima sfaccettatura di Dino Cassone consegnata al lettore?

Diciamo pure che, così come da lettore, mi piace sperimentare. Cambiare registro è anche un po’ mettersi alla prova, crescere e maturare come “inventore di storie”, così come mi piace definirmi. Vero è che ogni storia “chiede” di essere raccontata in uno stile differente, e la storia della famiglia Dimaggio richiedeva uno stile più lirico, introspettivo.

– Perché una saga familiare e perché tingerla così marcatamente di nero?

Perché volevo esplorare il mondo della “sorellanza” prima ancora che della famiglia in senso lato. Così ho scelto una famiglia “disfunzionale”, composta da elementi “strani”, che mi hanno portato in via del tutto naturale a sporcare di “oscurità” le loro vite. In netto contrasto con i nomi di ciascuna sorella (che sono fondamentali per capire molto del loro padre) che evocano invece lucentezza.

– Crede che per alcune persone, così come per alcuni personaggi così sapientemente da lei descritti, non ci sia alcuna salvezza, alcun riscatto?

Dipende da cosa si intende per “salvezza”. Se le diamo un significato prettamente religioso, allora lascio alla libera interpretazione del lettore. Di certo è che alcuni dei miei personaggi, così come di alcune persone, non saranno capaci di realizzarlo, questo riscatto.

– Dal suo romanzo emergono, tra tanti, due temi molto chiari: il destino e la fragilità dell’essere umano. Quale legame li unisce?

Li lega l’uomo. Il destino è qualcosa di inerente l’uomo, citando Petrarca, Homo faber fortunae suae, appunto. Va da sé che anche la fragilità è tipicamente umana, e questo porta le persone più deboli a lottare strenuamente con il proprio destino. Alcune persone ci riusciranno, tra fatica e lacrime, alcuni si fermeranno, altri soccomberanno del tutto. Ecco, nel mio romanzo ci sono tutte queste tipologie umane.

– Non di rado uno scrittore si affeziona, anche in corso d’opera alle sue creature. Da “padre” creativo dei personaggi dei suoi libri, avrebbe voluto un destino diverso per le sue protagoniste?

Lo avrei voluto come Dino Cassone in quanto persona. Ho sofferto per loro, mi sono commosso, mi sono arrabbiato. Come autore, ca va sans dire: se non fosse stato così il loro destino non avrei mai potuto scrivere “Le predestinate”!

– Considerando solo la narrativa, al di là di generi precisi quali horror o il thriller psicologico, non è comune trattare la malattia mentale in modo così approfondito come ha fatto nel suo romanzo. Ritiene sia ancora un argomento tabù o semplicemente è un tema che manca di appeal commerciale?

Forse entrambe le cose. Fa ancora paura parlare di alcune cose, come del dolore e della morte. Ma credo che alla fine certi argomenti sono destinati a catturare maggiormente l’attenzione dei così detti lettori forti, e che li rendono dei long seller. Alcuni libri hanno vita lunga proprio per questo, a mio parere.

– Quale suggestione crea in lei, invece?

In una sola parola: fascinazione.

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