I diritti negati alle donne afghane

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Foto di Ugo Pannella per PANGEA

Quello che sta succedendo in Ucraina ha sconvolto il mondo. Le immagini di intere città rase al suolo dai bombardamenti, i rifugi sotterranei dei civili, i corridoi umanitari organizzati per assicurare alle popolazioni colpite dalla guerra i beni di prima necessità sono diventati la triste realtà su cui è concentrata l’attenzione di tutti.

Eppure c’è chi , approfittando di questa “distrazione” mediatica, continua a negare sempre più diritti alle donne. I talebani infatti hanno oggi il totale controllo dei territori afghani ed hanno assunto un atteggiamento di totale censura nei confronti del sesso femminile. Niente sport, niente musica, nessuna possibilità di apparire in video, niente vestiti colorati, e da qualche settimana hanno imposto alle donne il divieto di essere fotografate e di poter studiare.”Dopo la chiusura delle scuole secondarie una generazione di donne afghane, quelle che non sono pronte ad accettare di perdere i diritti raggiunti negli ultimi vent’anni, sono scese in piazza per far sentire la loro voce” – racconta Silvia Redigolo, responsabile della comunicazione e della raccolta fondi per Pangea Onlus l’organizzazione no profit che, dal 2002, lavora per favorire lo sviluppo socio-economico delle donne afghane e delle loro famiglie. Le donne sanno di essere vittime degli estremisti islamici e sono consapevoli che protestare significa andare incontro a dei rischi notevoli. Eppure vogliono combattere per il loro diritto all’istruzione. “Da sempre Pangea cerca di ascoltare i loro bisogni. In questo periodo – spiega Silvia – stiamo cercando le soluzioni migliori per fare sì che queste donne continuino gli studi. Dal 26 agosto 2021 abbiamo creato delle case rifugio a Kabul dove accogliamo non solo donne ma anche uomini. Concretamente sosteniamo l’economia locale acquistando direttamente lì i beni di prima necessità e ciò di cui hanno bisogno”. Da Gennaio inoltre i talebani hanno ordinato ai negozianti di abiti di tagliare le teste dei manichini, soprattutto se con sembianze da donna, perché la raffigurazione umana “viola la sharia”, la legge islamica.

Non si può ignorare la condizioni di queste donne e la volontà dei talebani di renderle invisibili. Oltre quel burqa ci sono occhi pieni di sogni che non possono essere occultati e cancellati. È fondamentale pertanto sostenere e supportate organizzazioni no profit come pangeaonlus.org che lottano per il diritto alla libertà. La vita delle donne afghane è stata nuovamente gettata in un buco nero senza futuro. Affinché queste violenze fisiche e morali cessino di esistere, affinché venga abolita ogni limitazione del pensiero e della libertà di espressione, è indispensabile tenere accese le luci sulle mille piaghe dell’Afghanistan, un paese dimenticato, il cui destino sembra essere “appeso ad un filo” invisibile.

Foto di Ugo Pannella per Pangea

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