Mario Martone incontra i giffoners: «restando bambini incontrerete la magia del cinema»

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«Sono rimasto un bambino che amava e ama raccontare storie». Mario Martone si racconta ai giurati del workshop +18 tra storie personali e aneddoti della sua carriera. Ha sessantatré anni ed è un regista e sceneggiatore partenopeo pluripremiato. Nella sua carriera, come nella vita, è stato sempre importante per lui rimanere quel bambino che amava raccontare storie utilizzando i giochi e la fantasia che aveva a disposizione. Nel dialogo con i giovani giurati Martone ha esordito «se riesci a restare bambino continuerai a fare questo lavoro, a restarci dentro felice al di là della carriera e dei guadagni».

Molti i ragazzi che hanno voluto chiedere delle curiosità al grande maestro della regia. «Il festival è cresciuto davvero tanto e bene da quando sono venuto nel 1994» ha detto Martone ai giurati. Vincitore di tre David di Donatello e altrettanti Nastri d’Argento, con alle spalle ben diciotto nomination per entrambi, come molti registi di successo «sono un autodidatta, non ho fatto scuole di teatro e cinema» dice. «La mia vita è stata una formazione sul campo. Un film si compone di tante cose, quando sei parte di questo tutto fai davvero il cinema» ha continuato il regista. Poi un flashback agli esordi della sua carriera: «a diciassette anni ho mosso i miei primi passi a Spazio libero, dove ho conosciuto Tony Servillo». «Rino Mele fu il primo critico a notarmi a Salerno» ha continuato Martone «grazie a lui ho realizzato delle performance nella galleria d’arte. Avevo senza dubbio un’attitudine a scrivere e raccontare storie».

Molti gli incontri che ha fatto, molti i «maestri-fratelli» che ha avuto: «il gruppo per me è come una famiglia, ma sono sempre aperto a nuovi incontri» ha affermato il regista. Alla domanda da cosa prendesse l’ispirazione per realizzare i suoi prodotti, Martone ha risposto: «mi arriva dai romanzi letti, da qualcosa che osservo oppure ascolto. È stato esattamente così per “Morte di un matematico napoletano”, il mio primo lavoro». La gran parte dei suoi film sono girati nella sua città natale, Napoli, con cui Martone ha un legame speciale. «Napoli è una città che conosce bene l’incanto e il disincanto, ha questa duplicità che la rende speciale» ha detto «poi mi interessa molto l’umano. L’umano napoletano, in particolare, è quello che conosco meglio». Con il Vesuvio sullo sfondo Martone ha girato un film su Troisi: «Massimo era un artista straordinario, ti faceva ridere e commuovere allo stesso tempo. Avevamo il desiderio di fare un film insieme, era nell’aria». «Siamo entrambi figli di Napoli in maniera totale» ha continuato «entrambi insofferenti ai luoghi comuni che la riguardano».

Ai giovani, giffoners e non, il regista rivolge la sua attenzione: «siete voi i veri protagonisti di questo mondo cambiato radicalmente dalla rivoluzione digitale. Per me, che sono a metà tra analogico e digitale, il rapporto con i giovani è necessario e prezioso». Proprio sulla questione delle tecnologie Martone ha chiuso l’incontro con i giurati, concentrandosi sullo sciopero in atto ad Hollywood e sulla sempre più crescente minaccia dell’intelligenza artificiale nell’arte. «Non demonizzo l’intelligenza artificiale sul piano personale né artistico» spiega il regista. «L’intelligenza artificiale può essere usata male come molto bene. Dipende tutto, e solo, dall’uomo».

Francesca Scola

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