Sapri, rischia la vita a 14 mesi per una polmonite diagnosticata in ritardo: la storia di Benedetto raccontata dal nonno Vito

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«Per il Pronto soccorso di Sapri era un semplice mal di gola». Ora è intubato al Santobono di Napoli

di Martina Masullo

“La nostra sanità malata, ma anche tanta superficialità”. Inizia così il post su Facebook pubblicato un paio di giorni fa da Vito Caiafa, nonno di Benedetto, il bimbo di 14 mesi che sta lottando per la vita presso l’ospedale Santobono di Napoli. Questa è una storia (l’ennesima) di malasanità, ma anche di una famiglia che non sa spiegarsi come sia potuto accadere che il piccolo Benedetto si sia trovato intubato e trasferito in eliambulanza dall’ospedale di Sapri a quello di Napoli, così all’improvviso, dopo una diagnosi di “leggero mal di gola”. È sabato mattina quando nonno Vito viene chiamato da suo figlio per esser raggiunto al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Sapri perché il suo bambino ha la febbre alta e fatica a respirare. “Dal pronto soccorso – racconta il signor Caiafa – è sceso un pediatra, tutti dicono uno dei migliori, per visitare il bambino. Gli ha fatto una classica visita pediatrica, gli ha ascoltato il cuore e il respiro e ha diagnosticato solo un po’ di mal di gola”. Il pronto soccorso non è neanche particolarmente affollato quel
giorno. Benedetto torna a casa e viene curato con antibiotico e supposte di tachipirina, come il medico aveva indicato. “Tutto andrà bene” aveva spiegato ai famigliari del bambino. Ma così, purtroppo, non è stato. Le condizioni del bambino – nonostante anche il giorno prima fosse palese la sua difficoltà a respirare – peggiorano. “Il giorno dopo – continua Caiafa – il bambino non si muoveva ed emetteva solo un rantolo”. La corsa (di nuovo) al pronto soccorso e questa volta, finalmente, Benedetto viene sottoposto a tutti gli esami che il giorno prima non erano stati eseguiti. Una nuova diagnosi: gravissima polmonite e insufficienza respiratoria. E poi il trasferimento presso la struttura ospedaliera di Napoli. Il bimbo, attualmente, è intubato e – anche se in leggero miglioramento – non ancora fuori pericolo di vita. Una storia che lascia l’amaro in bocca, ma scatena anche tanta, tantissima rabbia. Ora, la domanda che sorge spontanea è una sola: come è possibile dimettere un bambino così piccolo senza eseguire esami accurati e lasciarlo tornare a casa nonostante le evidenti difficoltà respiratorie?
Che si sia trattato di una visita eseguita frettolosamente e con superficialità oppure di estrema incompetenza questo sarà da definire. Anche se nessuna delle due ipotesi rappresenta né una spiegazione valida né un alibi per quello che è successo e chi è responsabile dovrà dare conto delle proprie azioni. “Ho deciso di denunciare pubblicamente – ha scritto su Facebook nonno Vito – per far capire che, con questa sanità, siamo tutti in pericolo, dobbiamo reagire!” E ancora: “Il nostro ospedale, nonostante le tante promesse del Governatore De Luca per il suo potenziamento, sta collassando per mancanza di medici e infermieri e i pochi rimasti non ce la fanno più. Un grande territorio dimenticato volutamente, perché poco appetibile elettoralmente, ma che ha gli stessi diritti
di tutti i cittadini italiani”. Quando si tratta di medicina, è chiaro che il “rischio zero” non esista, ma è altrettanto chiaro come sarebbe stato possibile evitare di intubare un bambino di soli 14 mesi: sarebbe bastato visitarlo, farlo bene, in maniera approfondita, e diagnosticare la polmonite la sera prima. Sarebbe stata un’esperienza difficile – forse non così tanto – ma probabilmente ora Benedetto non sarebbe in pericolo di vita per un mix letale di malasanità e superficialità. “Sono stati superficiali – ha concluso Caiafa – e noi, purtroppo, ci siamo fidati dei medici anche se si vedeva che il bambino non stava bene”. Adesso, si attendono notizie del bambino e si spera in un netto miglioramento delle sue condizioni di salute. Questa è la priorità. Poi, eventualmente, la famiglia deciderà se procedere per vie penali. Intanto, non è la prima volta che una cosa del genere accade all’ospedale di Sapri, ma in generale il sud Italia non è nuovo a questo tipo di situazioni. La piaga della malasanità continua, da un lato, a mietere vittime e dall’altro – evidentemente – continua a riempire le tasche di chi dovrebbe occuparsene, ma preferisce non farlo e mettere a rischio, continuamente, la salute e la vita dei cittadini.

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