Alla scoperta di Querere e Clelia Attanasio

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di Davide Bottiglieri

– Dai suoi scritti emerge spesso una dicotomia. Una contrapposizione. Facendo riferimento a due tuoi racconti: un Dio molto umano, in lotta con questo suo lato poco divino. Due amici in antitesi, uno che vive per scrivere, l’altro che scrive per vivere. Ritiene che in ognuno di noi si celi una guerra intestina?

La risposta breve è: sì. In ognuno di noi esiste ed è presente una guerra interiore. Sant’Agostino, negli ultimi anni della sua vita da Vescovo, parlava di una guerra fuori di sè e di una guerra dentro di sè. È la tensione che genera innovazione, idee, intuizione: dentro di noi deve animarsi una rivolta, altrimenti si è spenti. Ciò detto, è ancor più vero che la guerra intestina è necessaria quando si parla di scrittura: a livello narrativo, una storia che non inizia con un deragliamento

non ha ragion d’essere. È la guerra, interiore o esteriore, che genera vera letteratura. Senza un dramma, un dilemma, uno struggimento, è impossibile creare una storia che sia convincente.

Scrittori immensi come Proust, Musil, Cortázar e Bolaño hanno provato a scrivere testi che parlassero del “nulla”, e persino queste personalità immense hanno avuto necessità di piccoli, impercettibili deragliamenti per far funzionare i loro testi. La letteratura è guerra.

– Come crede che il suo percorso di studi credi abbia influito sulla tua penna?

Moltissimo, e in modo decisivo. La filosofia mi fatta crescere, e intellettualmente e emotivamente. Lo studio continuo della filosofia mi ha dato la possibilità di pormi domande scomode, di sviluppare il pensiero critico. Diciamo che, per me, l’età dei perché non è mai finita. Questo mi ha dato modo non solo di progredire come persona, ma anche di affinare il mio

metodo di scrittura, di studiare la teoria della narrativa e crearmi una mia idea ragionata sull’argomento, di limare le mie intuizioni e i miei spunti per le storie che voglio raccontare. Innpoche parole: la filosofia mi ha fatto capire di cosa volevo parlare con la mia scrittura.

– Cos’è Quaerere?

Quaerere è una rivista letteraria che pubblica articoli di approfondimento culturale, critica letteraria, recensioni di nuove uscite editoriali e racconti inediti (editati e selezionati da noi). Il nome che ho scelto per la rivista è il verbo latino (quaerere appunto) che significa “chiedere per sapere”. Volevo fosse chiaro sin dal principio che lo scopo, l’intento di questo spazio culturale è quello di creare cultura, in un movimento congiunto di continue domande e continua ricerca.

Anche Sant’Agostino, mio filosofo preferito, diceva che la filosofia è “Perfecte quaerere veritatem”, vale a dire la perfetta ricerca della verità, che non si esaurisce mai. La conoscenza è infinita perché infinite sono le domande da porsi: voglio che la mia rivista rispecchi questo concetto essenziale.

– Com’è passare dall’altro lato della barricata? Dal farsi valutare dei testi a dover valutare dei lavori?

All’inizio, quando ho iniziato a editare racconti per la rivista, avevo il timore di non essere abbastanza preparata per permettermi di giudicare il lavoro altrui. Col tempo, ho imparato ad apprezzare i miei traguardi e i miei studi, ma soprattutto ho imparato cosa vuol dire davvero editare un testo: non si tratta di distruggere il lavoro di qualcun altro nè di stravolgerlo e nemmeno di correggere i meri errori grammaticali o sintattici. L’editor ha il compito di

riconoscere un testo buono, e già questa è metà dell’opera, e di farlo risplendere. Mi sono svincolata, quindi, dalla paura di non essere in grado di giudicare il lavoro altrui perché ho capito che il lavoro dell’editor non è un lavoro giudicante. In fondo, i panni dell’editor di una piccola rivista letteraria mi piacciono, li sento miei tanto quanto quelli di autrice.

– Qual è secondo lei la ricetta per rendere la saggistica pop?

La domanda è interessante, ma difficile. Cercherò di rispondere brevemente portando due scenari diversi. Per esempio, se avessi una casa editrice che pubblica saggistica – come fa egregiamente la effequ, per dirne una – probabilmente risponderei che il segreto sta nel cogliere argomenti che sappiano intersecarsi dentro più parametri e sorgenti d’interesse: insomma, bisogna saper essere intersezionali anche nella scelta degli argomenti.

Il secondo scenario invece è quello che mi è più familiare: avendo io una rivista letteraria, quello che credo fondamentale per fare divulgazione è la capacità di mettersi nei panni del fruitore, di chi ci legge senza possedere nozioni accademiche dell’argomento che sta leggendo. Per me è stata una sfida, essendo io una dottoranda e aspirante accademica: è stato difficile, all’inizio,

svincolarmi dalle mie conoscenze scientifiche iper-settoriali e dal mio metodo di studio e approfondimento. Ora cerco di alzare sempre un po’ di più l’asticella dei contenuti che proponiamo in rivista, senza mai proporre articoli semplicistici o superficiali, ma con un occhio sempre attento alla fruibilità. Bisogna essere empatici: questa regola vale per tutti gli ambiti dell’esistenza, e non è meno vera quando si tratta di editoria et similia.

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