La giornalista Michela Bilotta torna a Salerno per presentare il suo romanzo “La metrica dell’oltraggio”

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Sarà presentato in anteprima assoluta venerdì 6 ottobre alle 17:30, presso Palazzo Sant’Agostino, sede della Provincia di Salerno, il romanzo “La metrica dell’oltraggio”, di Michela Bilotta.

Il libro dell’autrice salernitana si configura come un lungo viaggio da Milano alla Basilicata per indagare il fenomeno dei femminicidi. Dialogheranno con l’autrice Stefania de Martino, avvocata esperta di politiche di genere, Maria Rosaria Pelizzari, professoressa di Storia delle donne e studi di genere presso l’Università degli Studi di Salerno, Andrea Raguzzino, editore della Jack Edizioni. Al talento dell’attrice Maria Rosaria Marena sarà affidato il compito di emozionare il pubblico attraverso la lettura di alcuni brani del libro.

La cultura di pensare la donna subordinata all’uomo è ancora profondamente radicata in Italia. Alla base della violenza di genere ci sono cause e comportamenti non semplici da spiegare. Le parole, talvolta usate in modo improprio per sviscerare questo “fenomeno” sempre più dilagante, hanno un peso specifico, un valore importante e questo Michela Bilotta, scrittrice e giornalista salernitana, lo sa bene. Il suo è un grido di rabbia per smuovere le coscienze, per sensibilizzare chi, di fronte ad episodi di violenza, mostra indifferenza voltando le spalle.

“La metrica dell’oltraggio” è un viaggio esteriore ed interiore, è la volontà di comprendere, analizzare e ricostruire la triste storia di un femminicidio avvenuto in un piccolo paesino della Basilicata nel Cinquecento. Vittima una poetessa Isabella Morra che Dacia Maraini ha definito “l’emblema della donna che, attraverso la cultura, ha cercato di affermare il proprio diritto alla libertà”. Michela Bilotta racconta con passione la nascita di questo romanzo, tracciando una linea di confine sottilissima tra i fatti avvenuti a Valsinni e la realtà del nostro tempo. Passato e presente si intrecciano con l’intento di sradicare la cultura patriarcale del nostro “bel Paese”.

Come nasce l’idea di questo romanzo?

L’idea di questo libro è nata qualche estate fa: ero in vacanza in Basilicata e mi sono trovata a visitare il parco letterario di Valsinni, dedicato alla poetessa Isabella Morra, vissuta nel Cinquecento. Qui sono venuta a conoscenza della sua drammatica storia. Isabella Morra, infatti, fu segregata dai fratelli nel castello di famiglia e poi assassinata per una presunta relazione con un nobile di un paese vicino, il barone Sandoval de Castro. Sembra in realtà che non ci fosse alcuna relazione sentimentale tra i due, ma solo uno scambio epistolare basato sulla comune passione per la poesia. Ad aggravare la situazione intervennero anche motivi politici, in quanto Sandoval de Castro sosteneva gli Spagnoli, mentre i Morra erano fedelissimi dei Francesi. Fatto sta che all’epoca il cosiddetto delitto d’onore era una pratica ampiamente diffusa e socialmente accettata; pertanto, l’assassinio non destò scandalo né presso la pubblica opinione, né presso le autorità. Da quell’estate la storia della Morra è diventata quasi un demone per me. Ho deciso di esorcizzarlo mettendolo su carta e facendo confluire il drammatico destino di Isabella con quello delle tante donne ancora oggi vittime di femminicidio.

Partiamo dal titolo che lascia presupporre un’analisi profonda della tematica affrontata: la metrica è il complesso dei metri, cioè delle misure ritmiche che costituiscono la struttura dei versi di una poesia.  

Il titolo ha un significato preciso. La parola “metrica”, infatti, è un chiaro riferimento alla poesia, e quindi alla figura di Isabella Morra, ma, trattandosi di una struttura all’interno della quale gli elementi si ripetono sempre uguali a se stessi, è anche un riferimento allo schema di molti femminicidi: prima l’adulazione, poi l’allontanamento dal proprio contesto familiare e professionale, quindi l’escalation di violenze, fino al tragico epilogo, spesso preceduto dalla richiesta di un ultimo incontro, che si rivela quasi sempre fatale. Conoscere questo schema, questa sorta di copione, è un primo passo per cercare di disinnescare questo meccanismo.  

Chi è Beatrice De Sanctis, la protagonista?

Beatrice è una giornalista entusiasta, appassionata del suo lavoro, ma è anche una donna con le sue fragilità e le sue debolezze. Ho scelto come protagonista del mio romanzo una giornalista perché volevo conferire alla trama il taglio dell’inchiesta e della ricerca giornalistica, ma c’è anche un altro motivo, legato al linguaggio. Scegliere una giornalista mi ha consentito di utilizzare un linguaggio asciutto, quasi di cronaca, che non aggiungesse inutili sensazionalismi a un fenomeno, quello della violenza sulle donne, che è già drammatico di suo che non necessita di orpelli linguistici. Beatrice è la rappresentazione di tutte e tutti noi di fronte a un fenomeno che ha assunto connotazioni spaventose e che risulta difficile da spiegare: lei stessa, all’inizio del viaggio, nutre dei pregiudizi nei confronti della violenza sulle donne. Le classiche domande “Come mai non lo ha lasciato prima? Perché non è riuscita a salvarsi?” sono quelle di molti di noi e troveranno risposta negli incontri che Beatrice farà nel corso del suo viaggio. Un viaggio che diventa metafora di un percorso interiore di crescita e di consapevolezza.  

Perché è importante trattare e parlare di violenza di genere?

Ora più che mai parlarne è fondamentale, ma solo se i discorsi sono indirizzati a delle soluzioni. Parlarne per farne chiacchiere da salotto serve solo a “normalizzare” un problema agghiacciante. E le soluzioni, laddove il fenomeno è così diffuso, non possono essere affidate alla buona volontà dei singoli. Deve essere la politica ad intervenire su più fronti, coinvolgendo tutti i soggetti sociali: dalla scuola, sin dalle primarie, alle famiglie, ai luoghi di lavoro. Bisogna sradicare dalle fondamenta questa cultura patriarcale che ci piace immaginare superata, ma nella quale siamo ancora profondamente immersi, spesso inconsapevolmente. E occorre che anche gli uomini, forse soprattutto loro, si facciano protagonisti di questo cambiamento. Voglio ricordare che abbiamo dovuto aspettare il 1975, praticamente ieri, prima che il nostro diritto di famiglia mettesse sullo stesso piano i coniugi e che fino al 1981 il nostro ordinamento prevedeva ancora il matrimonio riparatore, ovvero la possibilità per lo stupratore di veder estinto il reato se acconsentiva a sposare la vittima. Non parliamo di Medio Evo, parliamo di tempi relativamente recenti. Sono rimasta molto impressionata da un documentario di qualche anno fa sui paesi scandinavi dove la politica aveva “imposto” la parità di genere attraverso misure concrete: parità di salario tra uomini e donne, stessa durata di congedo parentale per padri e madri, in modo che il congedo non possa essere elemento di discriminazione ai fini delle assunzioni delle donne, stessa rappresentanza tra uomini e donne in politica. Ricordo in particolare che una delle sindache intervistate disse che forse si sarebbe arrivati allo stesso risultato senza questi interventi, ma in decenni. E la parità di genere non può aspettare. E poi è necessaria l’educazione sentimentale per i ragazzi, bisogna che imparino a riconoscere le proprie emozioni, il rispetto per l’altro, l’empatia. Se l’empatia fosse materia obbligatoria nelle scuole, come avviene in alcuni Paesi, forse sarebbe più difficile il verificarsi di episodi terribili come quello di Palermo.  

Bizzarra l’idea di paragonare i personaggi che Beatrice incontra a una tipologia di vino.

Sì, è una sorta di mania che ha Beatrice: paragonare le persone che incontra a una tipologia di vino, a seconda delle loro caratteristiche. È un vezzo che, da appassionata di vino quale sono, ho voluto conferire alla mia protagonista, ma è anche un modo per alleggerire il tono del romanzo e far conoscere al lettore Beatrice nei suoi aspetti più umani. Ed ecco, quindi, che il marito Stefano, da ingegnere razionale e strutturato qual’ è, viene paragonato a un Barolo, mentre il criminologo prevenuto e aggressivo rievoca l’acidità dell’Asprinio di Aversa.  

A che punto è oggi l’emancipazione femminile?

Per dirla con una frase abusata, potremmo affermare che “tanto è stato fatto, ma tanto resta da fare”. Se ci guardiamo indietro, appare chiaro che traguardi fino a poco tempo fa impensabili per le donne sono stati raggiunti. Tuttavia, se siamo qui a parlare del crescente numero di femminicidi e della necessità di contrastare la violenza di genere, vuol dire che la strada verso l’emancipazione femminile è ancora lunga e in salita. C’è un aspetto in particolare che vorrei sottolineare, perché a mio avviso poco esplorato: quello del linguaggio e dell’influenza che gli stereotipi linguistici esercitano sul pensiero in primis, e sul comportamento in seconda battuta. E’ dalle parole che parte tutto, anche dalla declinazione al femminile delle professioni, perché quello che non viene nominato non esiste. Quando si dice “sono solo parole”, beh, forse dovremmo ricordare che dalle parole sono nate le rivoluzioni e che un semplice monosillabo, il no di Franca Viola, ha cambiato per sempre la storia delle donne nel nostro Paese. Naturalmente, quando parliamo di emancipazione femminile non possiamo far finta di non vedere quello che avviene fuori dai confini del nostro mondo: proprio qualche giorno fa in Iran sono state esacerbate le misure contro le donne che rifiutano di indossare il velo o che lo indossano non “correttamente”. Questo per dire che l’emancipazione femminile che in alcune parti del mondo sembra almeno avviata, in altri Paesi resta ancora un mira

La parità di genere è un’utopia o una realtà concreta che sta prendendo piede nella nostra società?

È un traguardo, un obiettivo concreto da raggiungere che, come tale, richiede strategia e pianificazione. Quella della parità nel rispetto della differenza è un percorso di civiltà dal quale non possiamo sottrarci, uomini e donne. Proprio di recente il Parlamento europeo ha approvato la Convenzione di Istanbul, un trattato internazionale ad ampio respiro contro la violenza di genere. E prima ancora ha approvato la direttiva “Women on board”, contro il cosiddetto soffitto di cristallo che ostacola la carriera delle donne nelle posizioni apicali delle aziende. Tuttavia, le direttive devono trovare applicazione concreta negli Stati membri e spesso gli ostacoli sono di natura culturale, pertanto è sempre con il contesto culturale in cui viviamo che dobbiamo fare i conti.

Qual è lo scopo di questo romanzo?

Lo scopo è quello di tenere desta l’attenzione anche su elementi spesso considerati secondari nel determinare la violenza sulle donne, per questo ho voluto trattare l’argomento da prospettive diverse: dalla strumentalizzazione mediatica del fenomeno all’influenza che gli stereotipi linguistici esercitano sui comportamenti quotidiani, dalla piaga delle spose bambine alla detenzione manicomiale delle donne prima della legge Basaglia. Il mio non è un saggio sulla violenza di genere; pertanto, non ha nessuna pretesa di esaustività sul fenomeno. È un’opera di fantasia che parte da un fatto storico realmente accaduto per estendersi a indagare un fenomeno altrettanto reale. È il mio piccolo contributo, la mia goccia nel mare, il mio no a tutti quelli che pensano che la parità di genere sia ormai un traguardo acquisito. E, nonostante l’argomento trattato, non è un libro pesante, ci sono anzi anche parti divertenti, perché la vita stessa è un susseguirsi di contrasti, di luci e di ombre.

Il 6 ottobre presenterà il suo libro a Salerno, la sua città. Cosa si aspetta da questo incontro?

Non nascondo di essere molto emozionata per questa presentazione. È la prima presentazione ufficiale del libro e farla nella mia città è un motivo ulteriore di orgoglio e di gioia. Mi aspetto un incontro stimolante e costruttivo e, vista la presenza di nomi come quello della professoressa Maria Rosaria Pelizzari e dell’avvocata Stefania de Martino, sono certa che non potrà essere altrimenti. Inoltre sono felice che la Provincia mi abbia chiesto di presentare nella prestigiosa sede di Palazzo Sant’Agostino il mio libro, mostrando grande sensibilità al tema: tenere desta l’attenzione sulla violenza di genere è un dovere morale per ognuno di noi e, alla luce del tragico femminicidio di Battipaglia, avvenuto qualche settimana fa, questo incontro assume un’importanza ancora maggiore.  

“Quella ch’è detta la fiorita etade,
secca ed oscura, solitaria ed erma
tutta ho passato qui cieca ed inferma,
senza saper mai pregio di beltade.
Qui non provo di donna il proprio stato
per te, che posta m’hai in sì ria sorte
che dolce vita mi saria la morte
“- Isabella Morra


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