Scuola e futuro: Dad, disperazione a distanza

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Di Daniela Pastore

Cosa succede quando a isolamento, convivenza forzata, stop di ogni attività sportivo/ricreativa e preoccupazione da coronavirus si uniscono registri elettronici, video-lezioni in contemporanea per più figli, stampanti che si inceppano e mille “non ho capito, non vi vedo?”. Magari il tutto mentre sei in smart working e hai come colonna sonora stonata voci interrotte da pessimi collegamenti dovuti ad una rete intasata? Succede che la pazienza è messa a dura prova e che speri intensamente che tutto questo incubo prima o poi finirà a giugno! Ma questo non è certo. Quella che chiamano didattica a distanza, per molte mamme si è rivelata una disperazione a distanza! Mamme multitasking cercano di accorrere in aiuto dei propri figli diventando all’occorrenza anche insegnanti senza contare che non si può replicare la scuola a casa: mancano le competenze, l’aula, il tempo e il ruolo. Se per i tecnofili e la stessa Ministra all’Istruzione la scuola del futuro dovrà necessariamente prevedere questa modalità educativa, c’è chi sostiene che la didattica a distanza può essere “accettata” solo come soluzione di emergenza e non come metodo innovativo. A sostenerlo è Maria De Biase, dirigente scolastico dell’IC Santa Marina di Policastro Bussento, una “preside ecologista” che grazie alla sua passione e tenacia ha messo in atto una vera rivoluzione in una scuola di un territorio ancora sano come quello del Cilento. Per lei, la scuola del futuro non è certo la “biscuola” ipotizzata per settembre per cui metà classe va a scuola mentre il resto rimane a casa collegato al pc seguendo la lezione e poi viceversa. No. Per lei la scuola del futuro è, già da un po’, quella che guarda al passato, recuperando il buono che ci siamo persi. Pasti cucinati con i prodotti dell’orto sinergico della scuola, eliminazione della plastica a favore del coccio, recupero degli olii di scarto da cucina per autoprodurre il sapone, pane e olio a ricreazione invece delle merendine industriali. E in tempi di coronavirus, cosa ha pensato di fare per dare continuità affettiva ai suoi alunni? Videococcole degli insegnanti per trasmettere affetto e messaggi di speranza e motivazione. Con le scuole chiuse, la comunità scolastica perde la bellezza dei rapporti in presenza ed è costretta a nutrirsi solo di contenuti senza relazioni significative. Se in Italia fosse stato possibile riprendere le lezioni alla fine del lockdown lei, ne sono certa, avrebbe trasferito le sue classi nelle aree verdi della scuola, così come hanno fatto alcune nazioni del nord Europa. Distanziamento e lezioni outdoor. Vista la nostra edilizia scolastica, mi sembrano più sicure le lezioni fuori che in aula, a dirla tutta. Per non parlare dei benefici per i ragazzi della didattica esterna. Se è vero che bisogna cogliere il lato positivo di ogni cosa, l’emergenza virus potrebbe insegnarci che la scuola va ridisegnata. Spero che sul tavolo delle decisioni arrivino tante proposte valide per ripartire. Quella di Maria De Biase mi sembra degna di essere ascoltata perché suggerisce la fruizione degli spazi scolastici esterni allestiti con strutture leggere ed ecosostenibili, lezioni a turno, attività rurali, passeggiate ed escursioni. Un tempo scuola vissuto in serenità ed in presenza approfittando del bel tempo e quando arriva il freddo si può ricorrere ad una educazione diffusa, utilizzando cattedrali, chiese, cinema, teatri, case canoniche, musei, biblioteche, palestre, conventi, monasteri, spazi comunali e religiosi, strutture chiuse ed inutilizzate da anni. «Se si esce dalla condizione di pessimismo del “non si può fare” e ci si dimostra un po’ coraggiosi e visionari, il cambiamento è possibile», lo dice con gli occhi pieni di luce. Quella luce che fa sperare dopo tanto buio. Spazi potrebbero aprire, rendersi disponibili ad accogliere, in maniera strutturata ed organizzata, le classi ed i loro docenti. Si potrebbero creare alternanze settimanali tra le classi che lavorano a scuola e quelle che fanno scuola fuori. Si realizzerebbe, finalmente, quella educazione diffusa, innovativa, inclusiva, esperienziale e attiva che tanti pedagogisti auspicano.

UNA PROPOSTA PER LA SCUOLA

Quindi la scuola riaprirà a settembre. Non so se è giusto o sbagliato. Se è meglio o peggio. So che devo provare a fidarmi e ad affidarmi a chi ci governa. So che i bambini sono scomparsi dall’agenda politica. So che la didattica a distanza è una modalità utile SOLO e SOLAMENTE durante l’emergenza e che si dovrà tornare alla scuola in presenza, unica forma di scuola degna di essere definita tale. Intanto abbiamo 4 mesi di tempo per individuare tempi, spazi e modalità nuovi per non arrivare impreparati a settembre. Non sarà possibile, questo lo so, tornare nelle nostre aule, con lo stesso schema di prima. Continuo a pensare che, soprattutto nei nostri piccoli centri, abbiamo la possibilità di un cambiamento vero e profondo della scuola, da anni e da tanti auspicato. Dovremo imparare ad utilizzare gli spazi esterni di cui quasi tutte le nostre scuole dispongono. Spazi che dovranno essere allestiti ed attrezzati per svolgere ore di didattica esterna (vedi mio post del 20 aprile). Strutture leggere, ecosostenibili, belle, semplici, realizzate senza appesantire, imbruttire, inquinare, cementificare. Penso a materiali di recupero e di riciclo, a materiali naturali e semplici, pietre, paglia, legno, canne, alberi, cespugli, ecc.…ecc.… Penso ai tanti architetti che praticano green building, bioarchitettura o agli esperti di permacultura che abbondano nel nostro Paese e nello stesso Cilento. Penso alle tante risorse e competenze presenti presso il Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni. Tutti potrebbero dare una mano alle scuole e ai Comuni per indicare strutture, a basso costo, di facile realizzazione. Dalle nostre parti c’è bel tempo e clima mite fino ad autunno inoltrato e, quindi, gli alunni a turno, ma tutti, piccoli e grandi potrebbero vivere il loro tempo scuola, in parte all’aperto, in spazi attrezzati e sicuri, in parte in aula. Bisognerà prevedere passeggiate, escursioni, trekking, pedalate, a turno. Qui, ma anche in tanti altri luoghi italiani, l’ambiente circostante permette una miriade di attività da realizzare all’aperto, godendo di paesaggi naturali di ineguagliabile bellezza. C’è tutto quello che serve ai nostri ragazzi, dopo mesi di chiusura per recuperare salute, serenità, socialità e bellezza. E poi, per qualche mese, arriverà l’inverno e le piogge e il freddo, quindi, fuori non si potrà più stare. Ma, come ho già detto, gli spazi interni delle scuole non basteranno a garantire in sicurezza la presenza di tutti gli alunni e di tutti i docenti contemporaneamente. E la proposta di accoglierne una parte mentre gli altri seguono a distanza da casa a me non piace e la vedo difficile da realizzare, oltre che dispersiva. Penso, invece, a tutti quegli edifici, a quelle strutture, quasi sempre chiusi di mattina e, molti anche di pomeriggio, che potrebbero accogliere bambini e ragazzi. Cattedrali, chiese, cinema, teatri, case canoniche, musei, biblioteche, palestre, conventi, monasteri, spazi comunali e religiosi, strutture chiuse ed inutilizzate da anni. Potrebbero aprire, rendersi disponibili ad accogliere, in maniera strutturata ed organizzata, le classi ed i loro docenti. Si potrebbero creare alternanze settimanali tra le classi che lavorano a scuola e quelle che fanno scuola fuori. Si realizzerebbe, finalmente, quella educazione diffusa, innovativa, inclusiva, esperienziale e attiva che tanti pedagogisti auspicano. Sarebbe davvero una possibilità di cambiamento che le nostre comunità potrebbero cogliere. Insieme, scuola ed Istituzioni locali, dalla parte dei bambini. Uscire, a turno, dai confini di scuole ed aule e provare a vivere l’extramoenia, fuori dalle mura per vivere il fuori con le sue magie ed i suoi stimoli. I nostri piccoli paesi ne sarebbero vivificati e riattivati. Immagino l’impatto positivo che subirebbero i piccoli, sonnolenti, disabitati centri storici con l’invasione di scolaresche allegre e vocianti. E penso a quanto sarebbero felici gli anziani, i vecchi dei nostri paesi se potessero collaborare, stare insieme ai ragazzi per qualche ora al giorno. Forse da questa brutta storia della pandemia ne potrebbe nascere una davvero bella se saremo abbastanza coraggiosi e visionari da saper immaginare uno scenario nuovo, dinamico, esploso. Sono sicura, renderebbe più motivati e felici i nostri ragazzi e più partecipi e responsabili i cittadini. I nostri alunni sono, è vero, il nostro futuro ma sono soprattutto il nostro presente e loro con la loro vitalità e la loro ingombrante presenza potrebbero rendere migliore la vita di tutti noi e delle nostre comunità. E’ solo una piccola, iniziale proposta, si dovrà con l’aiuto di tanti di voi migliorare, arricchire, strutturare. Ci possiamo lavorare insieme, superando i particolarismi, gli individualismi e il pessimismo del “non si può fare”. Ed infine, bisogna sospendere, per questo tema, le campagne elettorali, stare tutti insieme per il bene della comunità.

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