Bimbo morto in grembo al “Ruggi”: c’è l’inchiesta

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C’è una doppia indagine sul decesso del neonato morto in grembo dopo un doppio tentativo di induzione al parto al “Ruggi d’Aragona”. Da valutare le cause che hanno portato alla morte e soprattutto il nesso con i farmaci utilizzati. Sulla vicenda c’è una inchiesta giudiziaria ma anche una inchiesta interna. Verifiche sul perchè la donna non abbia avuto il cesareo e perchè si sia aspettato tanto. Disposta anche l’autopsia sul corpicino del bimbo.

IL FATTO

La triste storia raccontata da “Ora notizie” risale a qualche giorno fa. Un doppio tentativo di induzione al parto finito in tragedia. Sarebbe questa la causa della morte in grembo di un bimbo che stava per nascere, la notte scorsa, nel reparto di ginecologia e ostetricia del “Ruggi d’Aragona”. La mamma, una 35enne dei picentini, era ricoverata da tre giorni ed era alla 41esima settimana. La scelta dei medici del reparto, guidato dal dottor Laurelli (recentemente succeduto al pensionato Marino), sarebbe stata quella di tentare un parto naturale invece che un cesareo. Tentativi di induzione che, tra l’altro, non sarebbero previsti dai protocolli e che si sarebbero rivelati fatali per il bimbo che, secondo i precedenti accertamenti, era in buone condizioni di salute con un peso di 3 kg e 800 grammi. La scoperta della tragedia in mattinata quando non si è avvertito più battito con il conseguente accertamento della morte del nascituro. Una tragedia che ha sconvolto i familiari ma anche gli stessi operatori sanitari. La vicenda potrebbe finire al centro di un esposto mentre si sollevano nuove polemiche intorno alla gestione del reparto di ginecologia del “Ruggi d’Aragona” e il silenzio della direzione generale. Si tratta, infatti, dell’ultimo drammatico episodio che getta ombre sulla gestione del reparto. Da queste colonne più volte sono state raccontate le denunce di pazienti, sindacati e operatori. L’ultimo episodio ha riguardato una operazione in chirurgia robotica con complicanze per la paziente che ha rischiato la vita. Da qui la denuncia del segretario provinciale dell’Udc, Enzo Casola che, nei giorni scorsi, aveva chiesto chiarimenti in merito alla certificazione in possesso o meno al primario Laurelli per operare con strumentazioni tecnologiche. L’ultima tragedia ha alzato un nuovo polverone. «Ora basta – incalza Casola – da eccellenza questo ospedale sta diventando una barzelletta drammatica. A rischio c’è la vita delle persone e come è accaduto ci stanno scappando anche i morti. Prima alla Torre Cardiologica con i provvedimenti che la magistratura ha intrapreso e che conosciamo tutti ed ora a ginecologia. Nel corso del tempo abbiamo segnalato tutto: il concorso del nuovo primario, le anomalie, le criticità, abbiamo chiesto le certificazioni, ma nulla. Solo un imbarazzante silenzio. Non è nostro costume criticare, anzi avremmo voluto esaltare la professionalità di Coscioni, così come quella di Laurelli, ma purtroppo per loro parlano i fatti». L’appello è verso D’Amato, Vozzella e Caterina Palumbo, tutti vertici dell’azienda ospedaliera universitaria. «Prendano provvedimenti, immediatamente – prosegue Casola – perché noi non ci fermeremo». 

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